mercoledì, settembre 23, 2009

F For Forchetta

Una questione che assilla metà della razza umana da millenni è riassumibile in una semplice questione: "perché la donna mangia sempre dal mio piatto?".
Pare infatti che sia un costume diffuso in tutte le culture che le femmine provino curiosità per il cibo che la controparte maschile sta mangiando in quel preciso momento.
- Mi fai sentire un pezzo di pizza?
- Certo.
- Mi fai sentire un sorso di birra?
- Bevi pure.
- Posso mangiare un pezzetto di tiramisù?
- Prego.
- Mi lasci un sorso di caffè?
- Si.
- Mamma mia quant'ho mangiato.
La questione è complessa, e la risposta, probabilmente, risiede nell'accettazione di una visione multisfaccettata del complesso definibile come "donna".
Questa l'opinione di Umberto Eco, che nel suo celebre saggio La mitopoiesi del succhino alla pesca studia le tracce di succo di pomodoro lasciate sulla tovaglia, ricostruendo a posteriori l'esistenza del trancio di pizza che ha transitato dal piatto dell'uomo alla vorace bocca femminile.
Tesi duramente contrastata da alcuni degli altri aderenti al movimento del Gruppo 63: Alberto Arbasino difatti, in un articolo pubblicato nel 1984 su EPOCA, così ribatte alle tesi dell'illustre collega:
"Il didascalismo analitico fin de siecle, il concetto della recherce pour la recherce, non mi disturba, sin quando ci si pone in una disamina che sia autenticamente arrembante. Ma se, au contraire, diventa solo occasione per mistificazione not really amusement, allora non può che suscitare, lungi dal mio pensiero affermare l'opposto o il differente, che sincero sdegno kompromisslos. L'atto femminino della gestualità accentuata, il desiderio incarnato e non derisorio dell'afferrare la otra comida, è puro e definitivo atto di condivisione sine qua non".
La celebre analista politica Camilla Cederna, in un articolo intitolato La violenza della sperequazione maschio-clerico-fascista intacca anche l'appetito, pone l'accento sul gesto politico dell'assaggino. Difatti, come il maschio ha per anni preteso ubbidienza e sudditanza dalla femmina, così adesso la femmina pretende equanimità dei risultati, più che uguaglianza nei diritti, mangiando le patatine del compagno (con maionese ma senza ketchup).
Non si creda che il dibattito sia da ascrivere esclusivamente all'ambito nazionale. Jacques Derrida ebbe a dire, durante le lotte del 1979: "la fenomenologia dell'azione con la quale la donna attua il proprio status di predatrice simbolica, è tutta ascrivibile all'interno del percorso demantico del termine colazione, dal latino cònfero, ovvero portare insieme, contribuire. Il pasto è gesto collettivo, adunque abbia ad essere condiviso. Punto."
Tesi che si sposa con quella di Roland Barthes che, in Non riesco a trovare gli occhiali. Ah, eccoli qui, li avevo sul naso, che sbadato!, asserisce che è forma propria del convivio amoroso la condivisione dello spazio pure alimentare, purché, chiarisce, poi la cosa sia reciproca e "anch'io possa mangiare un pezzo della roba sua".
Ma le donne non sono restie alla condivisione, afferma Massimo Cacciari nell'articolo Ho fatto colazione con la Veronica Lario e voi no pubblicato sui Quaderni del Mulino nel 2002: al contrario, sono ben disposte ad offrire parte del loro cibo in cambio di una porzione, anche più piccola di ciò che il compagno ha nel piatto. Ma se quello che ha preso lei non mi piace, che faccio? si chiede il filosofo barbuto, senza peraltro trovare risposta.

- Buonasera, avete deciso?
- Si, per me trenette al pesto.
- E per lei signora?
- Anche per me, grazie.
Più tardi.
- Ecco le trenette per la signora e per il signore.
- Grazie.
Mangiano.
- Senti...
- Dimmi cara.
- Com'è la pasta?
- Buona.
- Me ne fai sentire un po'?

martedì, settembre 22, 2009

Un guistificato motivo per (parte ventunesima)

L'ennesima puntata di questa saga interminabile scritta in prima persona dal Giangi.
Giangi, allontana da me questo calice e concludi in fretta, te priego.

Heike

Immobile, impietrito, non una lacrima, non un goccia di sudore sfiorano il mio volto, forse per il fatto che non mi accompagna un totale senso di stupore, come se in un certo senso rifiutassi solo l'idea che sarebbe potuto succedere di nuovo. Probabilmente con tutto questo ripartire e rifermarsi la forma mentis di statistico ha fatto si che annoverassi un'altra sosta tra le variabili residue, che va da se a mescolarsi con una naturale propensione a tenere tutto sotto controllo.
L'idea di rimanere spiazzato mi ha sempre affascinato ma nello stesso tempo spaventato. Parte da qui l'esigenza di non dare mai niente per sicuro, di non lasciarsi mai andare ad una scelta che sappia di volo pindalico, ma di mettere sotto esame persone, sentimenti e situazioni, di cercare strenuamente una chiave di lettura che mi permetta di assumere una posizione il più equilibrata possibile, che mi aiuti ad entrare sempre in sintonia con l'esterno, che mi renda visibile ed allo stesso tempo inosservabile.
Lo scettico blu, così mi chiama mia madre, e direi che non esista un immagine e assonanza di parole migliore per descrivermi. Se potessi raffigurarla sarebbe una di quelle figure impossibili di Escher dove gli elementi si accavallano in modo tale che l'occhio non riesca a distinguere l' elemento primo, quello dominmante che detta le regole del gioco.
Scelgo, (o forse non scelgo) di lasciarmi travolgere da questa nuova fermata; mi rimane solo un pò di amaro in bocca per dover ancora di più tardare il mio rientro a Prato.
Concerntro le mie energie, quell rimaste, sul mio mp3, sembra davvero avermi abbandonato, alla fine è arrivato il suo tempo, si vede che non era fatto per rimanere con me in questo viaggio. Un pò tutto ciò mi rattrista, non posso che ringraziarlo per avermi concesso dei momenti di grande introspezione musicale, affacciato davanti al finestrino del treno o lungo le rotaie di un binario. Peccato!
Fortuna che c'è il Pc!
Bhe meno agevole, ma non per questo meno presente nel viaggio, e di sicuro con una storia da raccontare più antica rispetto a quella dell' mp3.
Inizia tutto quando mi sono trasferito nei pressi delle Colonne di San Lorenzo, anche il quel caso il nostro incontro è nato in virtù di un abbandono, quella volta si trattava di un portatile e più che di un abbandono è stato un vero e proprio sequestro, dato che dei ladruncoli, entrando in casa mia una sera d'estate, han deciso bene di portarselo via insieme al mo costume preferito.
Non perdo tempo, lo accendo, giusto qualche minuto e sul desktop appare l'immagine di un vagone vuoto del treno, un'immagine direi più che familiare.
Mi sento già meglio!
In alto la cartella musica.
Ci vuole una canzone che dia un degno funerale all'mp3 e che dia nuova linfa al susseguirsi di una nuova e casuale compilation musicale. L'occhio cade subito su Halleluja di Leonard Cohen. Non esisite credo brano migliore per questo momento, dolce, intenso, sui suoi accordi sembrano cullarsi i ricordi di un viaggio, di un passato così vicino. Un brano che fa il vuoto intorno a se che non ammette intrusioni, dove l'accordo lascia presto spazio al vibrato gentile di una chitarra elettrica che lentamente si trasforma in un violoncello che detta l'ultima nota e che interminabile si lascia sfumare delicatamente nel silenzio chiudendo il sipario.
Giangi

venerdì, settembre 18, 2009

Chiamola favala

DRIIN DRIIN
- Pronto?
- Eh però Bloggottuso, tu sei tante parole ma pochi fatti. Dicevi che avevi tanti post pronti, ma poi gnente hai scritto, gnente. E la gente piange, Bloggottuso, perché non sa cosa pensare del fatto che te stai zitto, e i bambini muoiono in Africa e tu non scrivi, qui la gente vuole sapere, vuole che ci fai ridere, facci ridere Bloggottuso, o ti facciamo le cose che poi ti fanno male. Dicci Bloggottuso, perché non scrivi, eh?
- Eh, avevo da fare.
- E ora?
- Ora no.
- Allora scrivi, Bloggottuso, o ti facciamo del dolore.
- E va bene. Vi racconterò una favola. Dunque, c'era una volta...

C'era una volta una compagna che si chiamava Cappuccetto Rosso per la sua entusiastica adesione agli ideali marxisti. Un giorno codesta compagna parte dalla sezione Occhetto per andare dal compagno Stalin per portargli il panierino con i dolci preparati dalle compagne della festa dell'Unità. Nonostante l’avvertimento di Carlo Marx( Das Kapital, capitolo 13: non inoltrarsi nel bosco, mai, per nessuna ragione, cazzo, non fatelo mai, mai, mai!) si inoltra nel bosco.
Qui incontra il lupo cattivo, che cerca di sedurla offrendole un provino a Buona Domenica (questa metafora è abbastanza scoperta, ne convengo).

Ora, cosa farà la nostra cara Cappuccetto Cremisi?
Se pensate che cederà alle lusinghe del mondo dello spettacolo e del bavoso, anziano e lubrico canide, allora cliccate qui.
Se invece ritenete che rimarrà casta e pura nella sua socialista identà, allora cliccate qui.

PS: si! è una storia a bivi! di nuovo!
PPS: poi mi dite se vi piace.

lunedì, settembre 07, 2009

Il commissario t-Rex

In una lunga notte insonne, preda di agitazione e sudori freddi, ho capito che tutto il mio dolore e la mia sofferenza erano causati da due blocchi che non riuscivo a rimuovere: il primo era il più classico blocco dello scrittore, piantato ben profondamente tra le pieghe della mia immaginazione, al quale non riuscivo più a trovare rimedio; il secondo era localizzato in altro loco, e causato dalla tremenda ed indigeribile pizza ai peperoni della sera prima. Per ovviare al primo problema, non ho trovato altra soluzione che dirigere altrove la mia inesausta attenzione, ed utilizzare i potenti mezzi che la tecnologia di oggi mi offre per creare ciò che segue e che potrete vedere con i vostri stessi medesimi occhietti.
Per il secondo, invece, è bastata una purga.


PS: non sarà necessario, lo dico in anticipo, sottolineare nei commenti che il commissario talvolta è un tirannosauro e talvolta un velociraptor. Lo sa già. E odia chi glielo dice.