venerdì, agosto 20, 2010

Il mondo, dopo la fine del mondo

Probabilmente esiste solo nella mia testa una comunità di lettori affezionati che si domanda quotidianamente la causa della spaventevole carenza di contenuti aggiornati qui, sul blog.
E altrettanto probabilmente quei pochi si saranno convinti che il problema risieda nella scarsa vena del suo autore, o in una stanchezza diffusa relativa al generare contenuto interessante (se mai se ne è generato), oppure, magari, nell'intuizione di un desiderio, anche troppe volte espresso, di chiudere baracca e andare a pescare (non so pescare).
Forse per chiarire bisognerebbe andare di nuovo (ignoro quanti l'abbiano mai fatto) a ripescare quel primo post, nel quale dicevo che mi ero fatto il blog perché mi annoiavo. Il che era, fuor di metafora, vero.
Il fatto è che il blog nasce come sfogatoio, non a una creatività inespressa (sì, anche a quella, ma non principalmente), quanto a una deboscia umana incontrollabile: lavoro noioso, ripetitivo, con ampie pause di inattività. Scarsa interazione con i colleghi, ambiente deprimente, caffè pessimo: tutto contribuiva ad alimentare le inesauste fucine della creatività elettronica, e a trasformare l'evento di una giornata (il volo radente di una mosca impazzita, tipo) in una scoppiettante profuzione di battute e matte, matte risate.
Una specie di riscatto dalla grigia realtà del burocrate, diremmo.
In effetti, funzionava.
...
Ora, però, le cose enno cambiate.
Non faccio più quel lavoro, faccio altre cose, in posti diversi, insieme a persone diverse.
Cose un filo più stimolanti.
E, nonostante tutto, più impegnative.
Così finisce che lo sfogatoio della creatività segue altre strade, non sto più a guardare le crepe sul soffitto pensando che potrebbero diventare argomento di un post (per fortuna).
Poi.
Intendiamoci, il divertimento, la creatività, le uso ancora, non è che visto che il blog ha una paresi, allora anche il mio cervello ce l'ha.
Semplicemente, mi ci vuole più tempo, più convinzione.
...
Quando ero bambino ero un narratore instancabile. Ho realizzato intere saghe epiche utilizzando solo foglie, sassi e penne di gallina, con guerre, esplorazioni, quest, tutto il corollario dei giochi di ruolo (senza peraltro sapere cosa fosse un gioco di ruolo). Ero anche l'unico ascoltatore, fra l'altro, mancando spesso compagni di gioco ai quali comunicare l'esito della guerra tra le zucche e le viti per il possesso delle torri centrali.
Scrivevo anche, tanto. Ma temo di non aver conservato niente, a parte quaderni di scuola che poca utilità rivestiranno per gli studiosi della mia persona.
Poi, per anni, sono scomparso, senza sapere dov'ero finito. Che facevo? Con chi ero? A chi raccontavo le epiche battaglie del quadrato? I miei playmobil mi aspettavano nel sottotetto, ne sono certo, confidando in un mio ritorno, senza immaginare che avessi di meglio da fare.
Chissà cosa.
Temo di essermi perso un sacco di avventure.

Se me la passate, ora vorrei fare una cosa un po' ridicola: vorrei ringraziare il blog, che mi ha ritrovato la voglia di raccontare storie, e raccontarle prima di tutto a me stesso. Mi ha detto che era finita, questa voglia, sotto un mobile, o in fondo a un cassetto, o in un vecchio baule: ogni volta me la racconta diversa, mi sorride e mi chiede un post.
E io gli sorrido di rimando, e ne scrivo uno, perché non so negargli niente.
E poi non mi costa nulla.