mercoledì, novembre 25, 2009

De Vermis Mysteriis

Le prime apparizioni di quello che, in seguito, sarebbe stato indicato col nome scientifico di Chartaebacterium Gustatens, sono, per motivi ovvi, oramai poco documentate. Rimangono tracce di quell'epoca soltanto in alcune melodie orecchiabili, e in alcune pubblicazioni scientifiche della Cairo editore.
Il batterio che, ancora oggi, è conosciuto col nome volgare di Verme Sapiente fece la sua prima comparsa nelle Americhe settentrionali. Senza alcun preavviso, interi scaffali delle più grandi biblioteche del continente si trovavano popolate di libri bianchi, che d'improvviso non contenevano più alcuna parola. Volumi che contenevano i più grandi capolavori della letteratura mondiale si trovavano ad ospitare niente altro che il vuoto, scomparendo da essi anche i titoli e gli indici. Solo talvolta sopravvivevano le prefazioni o le introduzioni scritte da celebri saggisti o curatori televisivi, ma per il resto, le parole di Moby Dick o di Great Expectations o di Wuthering Heights si dissolvevano come nebbia, svanivano, affondando nel candore della carta. Lentamente la malattia si diffuse da una biblioteca all'altra, poi alle librerie, e infine nelle case, e attaccò ogni parola che poteva essere giudicata meritevole di immortalità, consegnandola all'oblio. Narrativa, saggistica, poesia, filosofia, niente sembrava sottrarsi all'avanzare del morbo, che tuttavia denotava un comportamento orientato alla ricerca di componenti stilistiche alte: ad esempio nella Connecticut national Library di Hartford la malattia assunse un comportamento assolutamente imprevedibile, attaccando libri da uno scaffale all'altro, anche molto distanti tra loro, ma lasciando intatti, almeno all'inizio, volumi ben più vicini. La motivazione era da ricercarsi, come divenne in seguito evidente, nel fatto che il batterio era un gourmet, e andava alla ricerca di testi che soddisfacessero il suo gusto ricercato. Riproducendosi ad un ritmo elevatissimo, finiva per accellerare il processo di dissoluzione dei capolavori, e quindi finiva per ripiegare su testi di delicatezza inferiore, i best sellers, poi i tascabili, i romanzetti rosa e infine le raccolte del Reader's Digest. Tuttavia, per quanto velocemente diminuisse la disponibilità e la qualità del suo cibo, mai, mai accadde che riuscisse a divorare tutto: alcuni testi, dalla sintassi incerta e dalla grammatica imbarazzante, rimanevano del tutto indigeribili anche al vorace appetito del Verme Sapiente.
Dilagando come una peste attraverso le Americhe, non impiegò molto a raggiungere il vecchio mondo e ad infestare le biblioteche di tutto il pianeta. A nulla valsero i tentativi di proteggere i libri rinchiudendoli in cassaforti sotterranee, o imbustandoli in contenitori sottovuoto: il verme sapiente riusciva sempre a raggiungere il proprio pasto, quasi che la capacità attrattiva de I Fratelli Karamazov fosse superiore alle barriere che l'inventiva umana poteva porre alla sua rapacità.
Non solo. Ben presto ci si rese conto che una mutazione era intervenuta nel vorace batterio, e che la piaga non più già riguardava inchiostro e carta, ma qualunque supporto capace di sostenere prova di creatività artistica. Le pizze cinematografiche cominciarono a dissolversi, fotogramma dopo fotogramma; gli spartiti si trovarono a non contenere altro che chilometri e chilometri di vuoto pentagramma; nelle cattedrali l'intonaco prese il posto degli affreschi trecenteschi. E quando si pensò infine di salvare le opere rimaste digitalizzandole e riversando nei computer copie magnetiche dello scibile umano, apparvero le nuove mutazioni, i virus digitali, dei quali il più celebre fu certo il terribile (nonchè invulnerabile - persino ad Hijackthis) appetitum.exe, capace di svuotare i dischi fissi anche degli elaboratori spenti. Lo riaccendevi e, puf!, la Divina Commedia non esisteva più.
In pochi anni, il mondo fu popolato di libri bianchi, vinili vuoti, cornici che incorniciavano tele non dipinte, fotografie non impressionate. Non solo: anche in un mondo depauperato dall'arte, il batterio sopravviveva, dato che, ogni qualvolta qualcuno cercava di scrivere, traendole dalla propria memoria, le parole con le quali iniziava Il Maestro e Margherita, il batterio attaccava, e l'inchiostro svaniva dopo pochi secondi.
Così, aspettando che qualche scienziato geniale scoprisse un nuovo composto antibiotico capace di ridar vita a ciò che non c'era più, l'umanità imparò ad accettare la nuova sua condizione, e cominciò ad appassionarsi a ciò che il verme sapiente aveva trovato indigeribile e lasciato intatto, scoprendo, nei libri di Moccia, una nuova dimensione dell'esistere.
Curiosamente, i blog mai furono toccati dall'azione del verme.

venerdì, novembre 13, 2009

La porta del fulmine - parte due di due

Riassunto: il dottor Livingston (suppongo) si inoltra nella foresta pluviale per cercare tracce della misteriosa tribù dei brufolosi. Alla fine trova il loro villaggio, ma mal gliene incoglie, soprattutto per il pugnace odor di ascella che tutto si spande attorno.

23 novembre (mi sembra)
Si può provare, mi chiedo, nostalgia per ciò che mai si è vissuto?
Esiste forse un nome, per lo struggimento che ti prende a ricordare spiagge lontane, mai visitate, tramonti mai, mai visti, a sentire - o credere di sentire - odori e sapori che ricordi, ma che mai hai prima incontrato?
Cos'è quel desiderio, che ti trascina via, e che non sai più cos'è e cos'è stato, e quelle mattine splendide e luminose chissà se le hai vissute mai?
Io questi ricordi di felicità che ho, a volte non so, se son ricordi davvero, o desideri, o presagi.
Magari questa malinconia dipende dal fatto che sono prigioniero da settimane, affamato e assetato, preda di allucinazioni, probabilmente malato di malaria e rinchiuso dai brufolosi in una gabbia di tigre vietnamita (non "tigre vietnamita", ma "gabbia vietnamita". Si tratta di quelle gabbie alte un metro fatte con le canne di bambù al posto delle sbarre, molto impressionanti di primo acchito, ma devo dire scarsamente sicure: voglio dire, è una canna di bambù, con un cazzotto la rompi. E' poi anche dolcina, se la mordi, la canna di bambù. In effetti una gabbia fatta di canne di bambù è proprio una sciocchezza, questi fanno proprio le cose alla cazzo. Sicuramente sarebbe stato ben più preoccupante se mi avessere messo dentro una gabbia con una tigre vietnamita, sempre che codesto animale esista. Altrimenti andava bene anche una tigre malese. Ma non Sandokan, eh, una tigre vera, sai quelle coi baffoni. E' vero, anche Sandokan ha i baffoni. Anche più folti di una tigre malese. Di quella vietnamita però non lo so. Di che stavo parlando?).

24 novembre, forse.
La fame mi sfinisce. Mangio quando mangiano loro, cioé solo quando hanno fame, e mangiando quello che trovano in cucina. Possono passare anche dieci, quindici ore senza che si ricordino del cibo, e poi magari nel giro di mezz'ora mi portano pasta fredda, cosci di pollo, tranci di pizza, kebab, merendine, gomme da masticare, orociocsaiva e smarties, centinaia di smarties, milioni di smarties.
Ignorano ogni uso dell'acqua. Quando ho chiesto se potevo averne un po', il giorno in cui mi hanno catturato, mi hanno guardato perplessi, senza capire. Ieri, sfinito dalla sete, ho chiamato il mio carceriere (un sifilitico metrosessuale con i jeans cuciti alle caviglie da decine di spille da balia) e gli ho chiesto da bere. Si è allontanato mandano messaggi col cellulare, ed è tornato dopo mezz'ora.
Con un bricchino di Estathè.

Qualche giorno dopo, non so quanti.
Si sono finalmente convinti del fatto che non rappresento per loro alcun pericolo: non gliela smeno su come si vestono, su cosa mangiano, dove vanno, quando tornano, con chi, come si chiamano i loro amici, se qualcuno di loro fuma, beve, si droga, rimetti a posto camera tua e raccatta quei calzini che sennò non esci per un mese e guardami quando ti parlo, domani c'è il prossimo compito d'inglese, hai studiato?
Adesso circolo liberamente per il villaggio, e posso studiare il comportamento dei brufolosi nel loro ambiente naturale: la deboscia.
Ho scoperto che si dividono in gruppi etnici, che non so se chiamare caste o famiglie o cumpa, e che questi gruppi tendono ad essere tra loro in aperta competizione. Se all'interno di un singolo gruppo l'omologazione in termini di abitudini, gusti musicali e look è pressochè totale, tra le diverse cumpa sorgono muri di astio.
Quotidianamente, gruppi di indigeni spariscono dalla circolazione a orari stabiliti, riapparendo dopo un intervallo di tempo che va da mezz'ora a qualche ora, dipende da quanti telefilm o spettacoli trasmettono in successione, e dalla loro qualità. Ho stimato che una sequenza di One Tree Hill, Everwood, Il mondo di Patty può decimare la popolazione femminile della tribù sino al 70% del totale.
Il loro sistema di governo è molto interessante: si riuniscono davanti a un bar, una gelateria, una sala giochi o una panchina, e iniziano a dibattere, mostrando scarso interesse nei confronti dell'argomento in questione (ma anche di tutti gli altri). Durante la discussione si mettono le mani in tasca, le tirano fuori, si dondolano sulle gambe, si accendono un cicchino, mandano un messaggino, si rimettono le mani in tasca, si aprono e chiudono ritmicamente la zip della felpa, si alzano il cappuccio della felpa, si abbassano il cappuccio della felpa, si accendono un'altro cicchino, si siedono, si rialzano, si tolgono le mani di tasca, e così via per quelle che sembrano ore (e che sono, in effetti, ore). Alla fine non decidono nulla, e tornano a casa sfavati.
Nessuno degli indigeni sembra avere una capacità espressiva che superi lo sbadiglio. Ogni tanto qualche femmina alza la voce e inizia a muoversi concitata, minaccia qualcuno con il sostegno delle amiche, poi va via e i maschi commentano, in genere, con espressioni tipo "boh". I maschi, generalmente non ridono o schiamazzano a lungo. La maggior parte del tempo si limitano a guardare a terra, grattarsi la poca barba, pensare al suicidio e parlare di fica.
D'altra parte la vita sessuale dei brufolosi è misteriosa: non si accoppiano mai, se non verbalmente. Tuttavia sembrano capaci di approfittare di portoni bui, muretti scoscesi e genitori fuori casa per indulgere in pratiche ginniche pericolose per la salute di un adulto comune. Soprattutto per la schiena.

Nessuno di loro vuole parlare con me.
Eppure ci provo, chiedo, parlo. Provo anche a raccontare loro aneddoti sulla mia adolescenza, citando esempi di quanto ero simpa alla loro età, e quanto mi dvertivo, e quanto li invidio, e quanto dovrebbero essere felici di essere ancora brufolosi, che dopo la vita è dura e difficile. Loro mi guardano, annuiscono guardando a terra e poi se ne vanno, dicendomi che devono studiare.
Ma secondo me non è vero.
Mi incuriosiscono, sembrano sempre tristi e spaventati, e non capisco perché.
Sarà la giungla che li rende così.

Le scimmie sui rami sembra che ridano. Beate loro, che vivono la vita senza preoccupazioni, fortunate creature.

mercoledì, novembre 04, 2009

Lucca 2009

Piccola pausa per parlare dell'incontro con l'idolo delle folle.
E' quasi tutto vero. Dove per vero si deve intendere falso, e per quasi si deve intendere non completamente, e per tutto si deve intendere cateto.
E poi, porca miseria, ho conosciuto Skiribilla.