Caro F.,
l'altra notte ho fatto un sogno che mi ha fatto pensare a te. Ho sognato che, da qualche parte nel futuro, uno scienziato geniale aveva inventato una macchina del tempo fatta a forma di cassetta postale, perché questa macchina del tempo funzionava, per qualche motivo che adesso non so più, ma che nel sogno mi sembrava perfettamente ragionevole, non con le persone, ma solo e soltanto con le lettere. Tanto che si poteva scrivere una lettera a qualcuno nel passato per fargli sapere che ancora si pensava a lui, o a lei, dopo tanti anni, e che ci mancava.
Allora, in questi giorni, da sveglio, mi son messo a pensare che sarebbe davvero molto bello se una cosa del genere esistesse davvero, perchè ti permetterebbe di rimediare a tanti errori e incomprensioni, far sapere agli amici di un tempo che mi sbagliavo, per esempio, quando dicevo che certe cose non le avrei perdonate mai, o chiedere a qualcuno, nel futuro, se il mondo sarebbe, un giorno, diventato un posto un po' - non tanto, basta un po' - migliore.
E mi chiedevo a chi avrei voluto scrivere, se avessi potuto mandare una lettera così, e ci ho pensato un po', e alla fine ho capito che l'unico a cui vorrei dire qualcosa - triste, ma è così - sei tu.
Come mai? mi dirai tu. E rimarrai anche sorpreso, credo, magari ti scoccierai pure, perché mi ricordo che li annusavi da lontano, quelli che volevano darti consigli non richiesti, e cercavi di allontanartene il più possibile.
Come mai? mi dici. Che vuoi?
Niente, voglio.
E' solo che mi manchi, porca miseria.
Mi ricordo che, quando avevo diciottanni, il mondo mi sembrava molto più semplice, e le cose facili. Sarà stata anche quella musica facilona che ascoltavo allora, che mi sembrava parlasse di nuove speranze, di un mondo luminoso dove magari starci non era facile, ma entusiasmante sicuramente si. La mia educazione politica, e tu lo sai, perché c'eri, si basava su giudici ammazzati con le bombe, politici accusati di corruzione che in carcere piangono come bambini e in tribunale balbettano "ma lo facevano tutti!"; si basava sulla fine delle dittature, il muro di Berlino, Tienanmen, la Guerra del Golfo. Nell'89 avevamo dodici anni, ma mi ricordo tutto, e il futuro, lo sai, si spalancava con rumore di uragano.
E mi ricordo di te, che quando vinse Prodi arrivasti a scuola con il fazzoletto rosso al collo. Adesso te ne vergogneresti, te lo garantisco. Mica per altro, ma perché adesso non ci credi più a queste cose.
C'era sempre qualcuno, allora, pronto a dire "guarda che sono tutti uguali", e tu ti ci arrabbiavi, te lo ricordi? Adesso posso dirtelo, F.: sono tutti uguali, davvero.
Mi sembra di essere diventato un vecchio rincoglionito, uno di quei tromboni, te li ricordi? che prima era tutto meglio, mentre adesso siamo in fondo all'abisso, e via così, ma credimi quando te lo dico: qui, è un incubo.
A me piaceva da matti discutere, litigare, difendere le mie idee, perché pensavo fossero giuste. Adesso magari lo sono ancora, giuste, ma il problema è che non le trovo più, non so dove le ho nascoste, e non trovo nemmeno la forza di difenderle, perché adesso l'Ombra è diventata grande come un continente, non ha più confini, si mangia le persone: siamo qui ad aspettare che muoia Berlusconi, per dire, e che sia il tempo a fare quello che a noi non riesce (mandarlo via, mica ammazzarlo). Succede di tutto, F., pure le cose che tu dicevi non avresti mai permesso che succedessero. Arrestano la gente, perché sono negri, o la picchiano, perché sono cinesi, e a nessuno frega niente, nemmeno a me, F., nemmeno a te.
Mi ricordo che non sapevi cosa volevi fare da grande, allora, ma sapevi che doveva essere qualcosa che aveva a che fare con il sistemare le cose rotte, quelle che non funzionano più. Essere un Harry Tuttle che fa funzionare quello che a nessuno interessa, i tubi rotti, le lampadine fulminate, le persone. Ecco, vorrei che tu facessi una cosa: questa voglia, questo sogno, mettilo in una scatola, F., e poi sotterralo, e disegna una mappa, e spediscimela, perché quello che avevamo allora io ormai non lo trovo più.