domenica, novembre 21, 2010

Venite all'Aquila - parte due

Il presidente inaugura le case, consegna le chiavi, sorride e scherza dicendo che ci verrebbe volentieri a stare lui, se potesse dedicarsi a vita contemplativa. Bruno Vespa e le telecamere lo seguono, lo accompagnano all'auto mentre la folla lo saluta. Trenta metri più in là, le ruspe sono ferme e spente per non disturbare.

Onna è un disastro a cielo aperto, la distruzione è totale: le abitazioni sono tutte distrutte o seriamente danneggiate. I morti sono 49 su un totale di poco più di 300 abitanti.
Una signora vestita di nero spazza le foglie secche davanti alla sua nuova casa. Ci dice che le case sono belle e ci si trova bene, c'è anche il giardino, ma le nostre case non ci sono più. Indica un punto al di là del cantiere che separa la nuova Onna dalla vecchia. Almeno noi siam rimasti vivi, e ricomincia a spazzare le foglie.
Per entrare nella zona rossa non servono i caschi protettivi; le recinzioni sono meno opprimenti di quelle dell'Aquila, e si capisce il perchè: tutto è distrutto, non c'è nessun rischio che ti cada una grondaia addosso. Ci accompagnano tre persone, credo siano della Pro loco di Onna, ma non sono sicuro, arrivo stordito e all'inizio non capisco le parole. Le case sono aperte come cadaveri in sala autopsie, ti mostrano l'intimità che conservavano. E' questa la pornografia? Mostrare ciò che dovrebbe essere nascosto? Che ci faccio qui con la macchina fotografica in mano? Fotografo un frigorifero sventrato, un mobile rovesciato, due damigiane ricoperte di mattoni. Fotografo la carta da parati esposta al vento, le finestre che incorniciano il cielo, i termosifoni attaccati ai muri come piante d'edera, i televisori sfondati, gli attaccapanni, i citofoni. Su un cortile si affacciano i resti di una casa, le mattonelle del bagno ancora attaccate, rosa salmone, in alto lo scarico del water. il resto non c'è più. Avevo fatto una foto ad una bambola, ma non la ritrovo più.
I nostri accompagnatori ci portano in giro nel labirinto di strade tutte uguali che è diventata Onna. Quando crolla tutto, come fai coi punti di riferimento? Come ti orienti? Le ruspe scavano un sentiero tra le macerie, trovano una strada dove la strada dovrebbe esserci, togliamo le case e sotto dovrebbe, credo, esserci una via. Ricostruire i sentieri scavando.
Nel maggio del 1944 i tedeschi abbandonano la linea Gustav e si muovono verso nord. Mentre si ritirano, le SS entrano a Onna e uccidono 17 persone per una qualche rappresaglia.
Al confine tra le due Onna c'è un edificio in vetro e cemento armato; contiene un auditorium per le riunioni e diverse sale destinate alle associazioni cittadine. L'ha costruita l'ambasciata tedesca in Italia, non come simbolo di riparazione per la strage del '44, ma come gesto di aiuto. Ha le finestre grandi, ed è pieno di luce.

La new town ha strade larghe e piste ciclabili, giardini curati. I prefabbricati sono stati costruiti dalla Croce Rossa con il finanziamento della provincia di Trento, seguendo le indicazioni dei cittadini su come gestire gli spazi e l'assegnazione delle case, in modo da ricreare lo stesso vicinato di prima. I miei cugini hanno un campeggio a Firenze; non amano molto le tende, prediligono quelle che chiamano case mobili, dei prefabbricati su ruote. La new town mi ricorda il campeggio in modo inquietante. Le case, mi dicono, sono state donate al Comune. A Gennaio il Comune comincerà a chiedere il pagamento dell'affitto agli abitanti, perché non ce la fa più a pagare gli oneri di gestione. Mentre mi raccontano questo, si affianca un'auto. Si abbassa il finestrino e si affaccia un uomo che mi guarda la macchina fotografica. Chiama il nostro accompagnatore e gli dice che deve raccontare tutto, che quando torniamo a casa dobbiamo sapere tutto e dirlo a tutti, tutti devono sapere la verità. L'altro ride e lo saluta.

Villa Sant'Angelo è vicina ad Onna. Ci accompagna una ragazza sui vent'anni. Qui non andiamo alla new town, restiamo in piazza grande a guardare quel che resta: transenne e macerie. Il cielo è cupo, stormi d'uccelli volano sopra gli alberi, tre cani ci accompagnano per il paese, giocano nelle macerie, uno mi sa che si è fatto una specie di tana sotto le travi di una casa crollata, per ripararsi la notte. La ragazza - come si chiamava? - dice che i giovani non hanno più un posto dove ritrovarsi, usano una casetta di legno come punto di ritrovo la sera, per chiacchierare un po', bersi un the. Lo dice due o tre volte, bersi un the, come se fosse un gesto di pace tanto desiderato.

In autobus tengo la macchina fotografica in mano - non l'ho mai mollata, ma mi sembra che scotti. Scelgo la profondità di campo, regolo i tempi, fuoco manuale, funzione VR attivata, scelgo gli ASA, dimensione del file, esposizione, saturazione. Fotografo macerie. Fotografo cimiteri. A che serve?
Nel viaggio di ritorno Andrea ci passa una cosa da leggere. Io la passo a voi.

Venite all'Aquila.

Le foto di Onna e Villa Sant'Angelo
Il sito del comitato 3e32
Il blog di Miss Kappa

martedì, novembre 16, 2010

Venite all'Aquila - parte uno

Patrizia ci indica le transenne che bloccano l'accesso agli edifici ai lati di corso Vittorio Emanuele. Ha legato alle reti delle buste di plastica con dentro le foto dei negozi del centro ancora chiusi. Le ha stampate lei, con la sua stampante: la pioggia entra nelle buste e le cancella, portandosi via l'inchiostro. "Non sapevo che altro fare, la gente passa di qui, vede i palazzi ancora in piedi e pensa che i danni sono pochi. Non si accorge che i negozi sono tutti chiusi, che la città è deserta".
Più avanti un palazzo antico, con un grande portico chiuso da colonne; "qui ogni colonna era un punto di ritrovo. Si diceva ci vediamo alla colonna e ognuno sapeva quale era la sua. Ora sono inaccessibili. Lì" e indica un capannino in lamiera "c'era un'edicola. Su questa strada ce n'erano tre. Non avete idea di quanto fosse viva questa città".
Entrare all'Aquila non dà le dimensioni del disastro. La città ti accoglie offrendo dosi omeopatiche di rovine: una crepa su una facciata, qualche mattone caduto, una breccia che si affaccia sul buio di un appartamento. Forse in questo modo il disastro sembra meno incombente, se i danni li scopri lentamente. I palazzi del centro sono fasciati - come quando ti fratturi un osso - e scopri che le fasciature servono a tenerli insieme, a evitare che si spancino. Ci sono palazzi quasi senza danni, solo con qualche danno sul tetto. Ma il centro è inaccessibile, nella zona rossa non si possono fare lavori di ristrutturazione, quindi il buco nel tetto rimane. Così ci piove dentro, l'acqua infiltra i muri interni e quando arriva l'inverno - l'Aquila è una delle città più fredde d'Europa - l'acqua infiltrata si congela e spacca le mura, le case si rompono, gli edifici si spanciano.
Anche questi sono i danni del terremoto.
Prima di entrare nella zona rossa dobbiamo indossare i caschetti protettivi. Di fronte al prefabbricato dove ce li consegnano c'è un palazzo completamente ricoperto di ponteggi. Uno dei nostri accompagnatori ci dice che la Protezione Civile paga il noleggio di queste strutture a 18 euro a nodo. Guardo: sembrano milioni. Il noleggio viene pagato a una società di proprietà della Marcegaglia, mi dice, è stato messo su due giorni dopo il terremoto, ma non serve a niente: di là del muro non c'è niente, è crollato tutto.
Un cane ci accompagna nella zona rossa, sta con noi tutto il tempo. Non abbaia mai, non scodinzola, non ringhia, non ti viene incontro a prendersi le carezze. Cammina con noi, e basta.
Le strade si confondono, non distinguo più le piazze. Adesso, davanti al computer, apro Google Maps per capire che strade abbiamo percorso, e su Street View tutto è bloccato al prima del terremoto: le strade sono aperte, i palazzi interi, le persone entrano ed escono dalle case.
Non ci sono macerie all'Aquila: i palazzi - davvero - sono in piedi, molti edifici sono rimasti su. Ma sono tutti - tutti - danneggiati. Le porte sono aperte, mi affaccio a guardare nel buio e scopro sedie rotte coperte di polvere. Alzo gli occhi: le finestre sono chiuse dai ponteggi e dalle fasciature. La Protezione Civile ha lavorato bene, ci dice la gente ha messo in sicurezza le case e trovato una sistemazione a tutti - o quasi. La gestione dell'emergenza è stata buona, non c'è da lamentarsi, ma la gestione del post emergenza non c'è. L'Aquila è una città abbandonata e transennata, zona d'emergenza, disastrata, sottratta a ogni potere che non sia quello della PC: è possibile ricostruire l'Aquila? La Stefania Pezzopane dice che ha sentito degli esperti - non aquilani - dire che la ricostruzione della città è fuori discussione, è una questione troppo impegnativa e richiede uno sforzo che nessuno vuole fare. Ma chi si assume la responsabilità di dire "iniziamo la ricostruzione" o "abbandoniamo la città e ricostruiamola a tot chilometri"? Il governo? La PC? Il Comune? La Regione?
Quello che ti dà di più le dimensioni del disastro non è il vuoto dove dovrebbero esserci le case, o i frontoni delle chiese crollati, o i contanier per portare via le macerie: è il silenzio e l'abbandono. Prima c'erano cinquantamila persone, ora siamo noi e un cane. L'edera invade i giardini, ci sono dei panni stesi a un terrazzo, grigi e strappati; comincia a fare buio, e Marco mi indica una vetrina: è un ufficio delle Poste, dentro ci sono le luci accese. Probabilmente uno dei vigili del fuoco è entrato e poi ha dimenticato di spengerle, ma è inquietante, in una città di fantasmi. In mezzo alla strada c'è un grosso pezzo di cemento armato con delle tegole sopra. E' caduto dal condominio di fronte: il resto del tetto pende nel vuoto, attaccato a brandelli di ferro.
Quando restituiamo gli elmetti il vigile del fuoco li raccoglie spazientito, e ci dice che gli abbiamo fatto fare tardi. Elle offre una bottiglietta d'acqua a Patrizia che ha parlato tutto il pomeriggio. Qualcuno le chiede perché su una delle transenne ci sono degli straccetti verdi e neri. Sono i colori della città, uno straccetto per ogni morto del terremoto, non possiamo fare altri monumenti, ci dice.
In piazzetta, fuori dalla zona rossa, c'è un bar aperto. E' l'ora dell'aperitivo, e c'è un gruppo che suona. Alessio riconosce il tastierista e lo saluta, l'altro gli risponde con un sorriso sorpreso. L'Aquila è una città disabitata, ma gli aquilani ci vengono lo stesso il sabato sera, per fare due passi.
Anche se sono sfollati.