F For Forchetta
Una questione che assilla metà della razza umana da millenni è riassumibile in una semplice questione: "perché la donna mangia sempre dal mio piatto?".
Pare infatti che sia un costume diffuso in tutte le culture che le femmine provino curiosità per il cibo che la controparte maschile sta mangiando in quel preciso momento.
- Mi fai sentire un pezzo di pizza?
- Certo.
- Mi fai sentire un sorso di birra?
- Bevi pure.
- Posso mangiare un pezzetto di tiramisù?
- Prego.
- Mi lasci un sorso di caffè?
- Si.
- Mamma mia quant'ho mangiato.
La questione è complessa, e la risposta, probabilmente, risiede nell'accettazione di una visione multisfaccettata del complesso definibile come "donna".
Questa l'opinione di Umberto Eco, che nel suo celebre saggio La mitopoiesi del succhino alla pesca studia le tracce di succo di pomodoro lasciate sulla tovaglia, ricostruendo a posteriori l'esistenza del trancio di pizza che ha transitato dal piatto dell'uomo alla vorace bocca femminile.
Tesi duramente contrastata da alcuni degli altri aderenti al movimento del Gruppo 63: Alberto Arbasino difatti, in un articolo pubblicato nel 1984 su EPOCA, così ribatte alle tesi dell'illustre collega:
"Il didascalismo analitico fin de siecle, il concetto della recherce pour la recherce, non mi disturba, sin quando ci si pone in una disamina che sia autenticamente arrembante. Ma se, au contraire, diventa solo occasione per mistificazione not really amusement, allora non può che suscitare, lungi dal mio pensiero affermare l'opposto o il differente, che sincero sdegno kompromisslos. L'atto femminino della gestualità accentuata, il desiderio incarnato e non derisorio dell'afferrare la otra comida, è puro e definitivo atto di condivisione sine qua non".
La celebre analista politica Camilla Cederna, in un articolo intitolato La violenza della sperequazione maschio-clerico-fascista intacca anche l'appetito, pone l'accento sul gesto politico dell'assaggino. Difatti, come il maschio ha per anni preteso ubbidienza e sudditanza dalla femmina, così adesso la femmina pretende equanimità dei risultati, più che uguaglianza nei diritti, mangiando le patatine del compagno (con maionese ma senza ketchup).
Non si creda che il dibattito sia da ascrivere esclusivamente all'ambito nazionale. Jacques Derrida ebbe a dire, durante le lotte del 1979: "la fenomenologia dell'azione con la quale la donna attua il proprio status di predatrice simbolica, è tutta ascrivibile all'interno del percorso demantico del termine colazione, dal latino cònfero, ovvero portare insieme, contribuire. Il pasto è gesto collettivo, adunque abbia ad essere condiviso. Punto."
Tesi che si sposa con quella di Roland Barthes che, in Non riesco a trovare gli occhiali. Ah, eccoli qui, li avevo sul naso, che sbadato!, asserisce che è forma propria del convivio amoroso la condivisione dello spazio pure alimentare, purché, chiarisce, poi la cosa sia reciproca e "anch'io possa mangiare un pezzo della roba sua".
Ma le donne non sono restie alla condivisione, afferma Massimo Cacciari nell'articolo Ho fatto colazione con la Veronica Lario e voi no pubblicato sui Quaderni del Mulino nel 2002: al contrario, sono ben disposte ad offrire parte del loro cibo in cambio di una porzione, anche più piccola di ciò che il compagno ha nel piatto. Ma se quello che ha preso lei non mi piace, che faccio? si chiede il filosofo barbuto, senza peraltro trovare risposta.
- Buonasera, avete deciso?
- Si, per me trenette al pesto.
- E per lei signora?
- Anche per me, grazie.
Più tardi.
- Ecco le trenette per la signora e per il signore.
- Grazie.
Mangiano.
- Senti...
- Dimmi cara.
- Com'è la pasta?
- Buona.
- Me ne fai sentire un po'?