Born to kill
16 aprile
Finalmente ci siamo! Oggi abbandono l’accademia e mi unisco al mio plotone. Sono così contento di avviarmi ad una brillante carriera e diventare un membro produttivo della società, mi sento già più grande.
17 aprile
Ho conosciuto i miei compagni, sono tutti bravi ragazzi, ansiosi di muoversi e vedere il mondo. Il sergente che ci ha accolti ci ha fatto un lungo discorso sui nostri doveri e sull’importanza del nostro lavoro. Ha sottolineato un sacco il fatto che dobbiamo essere sempre pronti, perché non sappiamo quando saremo chiamati all’azione. Mentre diceva così, il compagno al mio fianco ha detto a mezza voce “eh, mica stiamo qui a farci le seghe” e tutto il plotone si è messo a ridere. Il sergente si è arrabbiato un sacco e ci ha fatto fare il giro dell’ovale per dieci volte, ma nessuno si è lamentato: siamo tutti carichi!
18 aprile
Il compagno che ieri mi ha fatto ridere si chiama Joe, sembra uno che ne sa un sacco. Oggi abbiamo avuto le esercitazioni di corsa, che vuol dire semplicemente che devi attraversare un percorso il più velocemente possibile, senza farti colpire. Io sono andato bene, mentre alcuni dei compagni sono andati malino, soprattutto Gonny, che è stato colpito dal sergente un sacco di volte. Ma Joe è stato fantastico: prima ha fatto il percorso velocissimo, poi, invece di arrivare in fondo, è tornato al punto di partenza. Il sergente si è arrabbiato tantissimo, gli ha detto che era un buffone, ma sotto sotto si vedeva che era rimasto impressionato.
19 aprile
Oggi abbiamo avuto un falso allarme! Stavamo rientrando nelle camerate dopo una dura giornata di addestramento quando hanno cominciato a suonare le sirene. Il sergente si è subito messo a correre per il campo, rosso in viso e tutto eccitato, gridando che i corpi si stavano innalzando e che dovevamo prepararci al lancio. Tutto ad un tratto però, proprio quando ci dirigevamo in fiotto verso il canale di lancio, le sirene si sono arrestate e il sergente si è come afflosciato. Peccato, ha detto, sarà per un’altra volta.
20 aprile
Anche oggi un falso allarme. Uno dei compagni più vecchi ha detto che succedono un sacco di volte, e che anche se dovessimo essere chiamati al fronte, dovremmo fare come lui: metterci in fondo alla fila sperando di essere tra quelli che restano. L’ho guardato con disprezzo e gli ho chiesto la sua età. Tre settimane, mi ha detto chinando la testa dalla vergogna.
21 aprile
Domani è sabato, ha detto oggi il sergente, è probabile che saremo chiamati fuori. Poi ci ha detto una cosa che non ci era mai stata detta durante l’addestramento: ha detto che al momento di uscire sul campo potremmo venire catturati in una trappola predisposta dal nemico, in una guaina impenetrabile. In questo caso non potremmo andare avanti né tornare indietro e saremmo condannati ad una morte orribile. Ma questo pensiero non deve fermarvi, ha detto, perché lo fareste per la turgida gloria della vostra semenza! Mentre sentivo questo, mi sono voltato a guardare i miei compagni, ed ho incrociato lo sguardo con il vecchio di ieri. Ho letto nei suoi occhi una promessa: che questa volta non avrebbe avuto paura! Avanti, con ardimento!
23 aprile
Dio mio, Dio mio, è questa la vita dunque?
24 aprile
Riprendo questo diario dopo due giorni, nei quali ho avuto la forza solo per vergare quelle poche parole di cui sopra. Ho riletto le scempiaggini che scrivevo quando ancora vivevo nella pace e nella tranquillità. Che sciocco che ero! Che stupido! Ma è meglio che riassuma quello che è successo in queste ore, così che, se mai qualcuno troverà queste righe, impari forse qualcosa dalla mia vicenda.
Il sergente aveva ragione: sabato, il fatidico giorno, siamo stati davvero chiamati alla battaglia. Ma aveva torto sulla guaina di gonna che avrebbe dovuto sbarrare il nostro cammino, dato che non ve ne abbiamo trovato traccia (ahi, quanto sarebbe stato meglio se invece fossimo stati catturati così, tutti ancora giovani ed ingenui e pieni di illusioni, e andati a morire insieme della bella morte!).
Una volta sparati fuori dal condotto di uscita ci siamo ritrovati in un anfratto umido e scuro, così alieno da metterci i brividi. Il sergente ci ha gridato di metterci in fila e marciare il più in fretta possibile avanti, verso l’oscurità più fitta. Ad un certo punto, non so dopo quanto, ci siamo trovati ad un bivio: la strada si biforcava in due grotte più piccole che si perdevano nel buio. Il sergente è parso spaesato, ma non si è perso d’animo: ha detto che avremmo dovuto dividerci, che una metà (ma non sapeva quale) si sarebbe sacrificata per la buona riuscita dell’altra, dato che chi imboccava il sentiero sbagliato andava dritto alla morte. Io, Joe, Gonny e il vecchio ci siamo stretti vicino, e siamo finiti nel gruppo di destra, insieme al sergente. Ho salutato i miei compagni di sinistra con lo sguardo, chiedendomi qual’era il senso di tutto questo e se sarebbe toccato a noi, di morire in quell’oscurità, o a loro.
Il viaggio è continuato a lungo, quando qualcuno dei nostri ha cominciato a sentirsi male. Sono gli acidi, ha detto il sergente, dobbiamo sbrigarci. E infatti l’aria ha cominciato a farsi irrespirabile e Gonny è caduto a terra. è diventato ancora più pallido, ha mormorato qualche parola ed è morto.
Abbiamo proseguito, con le lacrime agli occhi non so se per via del dolore o degli acidi.
Superata una curva, all’improvviso mi sono sentito meglio, e come me gli altri superstiti: anzi, più forti, più pieni di energia. Improvvisamente ho pensato che il mio obiettivo non era lontano, e che avrei potuto farcela, anzi ce l’avrei fatta sicuramente e che niente mi poteva fermare. Ho cominciato a correre e quando mi sono trovato davanti il vecchio che correva anche lui sì, ma più lentamente di me, l’ho colpito alla schiena perché non mi rallentasse, e sono passato oltre, e ho visto Joe, vicino a me, fare lo stesso con il sergente e molti altri lottare e sgomitare per raggiungere il nostro obiettivo.
E alla fine l’abbiamo visto: ai nostri piedi, in fondo ad una scarpata, un enorme uovo soffice e profumato, invitante, morbido, sensuale. Ci siamo lanciati giù, noi pochi sopravvissuti, colpendoci con forza. Ed io, proprio io, sono stato il primo a raggiungerlo: l’ho toccato e… niente. Si sono avvicinati tutti gli altri, scodinzolando sui loro flagelli. Joe ha detto:
- Oh no, è troppo presto. Sta ancora dormendo.
Ci siamo guardati gli uni gli altri, e abbiamo capito che eravamo ancora troppi: uno solo doveva essere qui quando l’uovo si sarebbe svegliato.
Ora, il massacro è finito. Sono qui, stanchissimo, seduto a terra. Joe è seduto dall’altra parte, ci osserviamo con odio.
Siamo rimasti solo noi due.
20 giugno
- Signora, è incinta.
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