Un giustificato motivo per (parte diciassettesima)
Dopo due mesi, torna Giangi.
Tra poco, torno io.
Heike
Si ricomincia!, giù per le scale proprio lì, sulla destra.
Permesso! Permesso! cerco con garbo di districarmi tra la folla viaggiante, anche se dentro di me alberga uno sfrenato desiderio di entrare di prepotenza lungo quella scia che va delineadosi nella mia mente, statisticamente approvata come il miglior tragitto possibile, ottimizzante sia in termini di tempo che di spazio che di risorse psico-idriche sprecande. Schivo, volteggio, con fare maldestro dò vita a movimenti eleganti come se stessi improvvisando un passo alla Frank Sinatra sulle note di New York New York. Il pubblico ancora una volta non pagante mi volge occhiate di scherno, cui non posso dar risposta, fortunatamente ho con me le valige che mi aiutano a mantenere un certo equilibrio, che nel mio caso somiglia forse più ad una vertgine distratta.
Salto gli ultimi due scalini con scioltezza e via!
Inizia il tunnel, si insomma il sottopassaggio.
Sinistra, destra dove vado adesso!
Quale corrente scegliere. questa volta non c'è veramente tempo nè per metafisiche nè per lanci di monetine o ricordi del passato, mi lascio guidare dall'istinto....e guarda un po'! ancora una volta mi porta a sinistra. Mentre mi involo, quello spirito razionale per un attimo assecondato e probabilmente per questo indispettito, tenta di rallentare la mia corsa, così che possa buttar l'occhio su cartelloni, tabelloni, sperando di strappare quella conferma di aver intrapreso il percorso giusto. Il passo rallenta si, ma rimane pur sempre incalzante. Ho fino ad adesso affrontato il viaggio facendo si che l'emotività di un momento trovasse modo per fondersi entro un sistema di giustificazioni possibili, razionalmente spiegabili, di cui alla fine risultava chiaro solo la loro etrena circolarità e il loro strenuo tenatativo di rispondere all'anima di un eco infinito. E' tempo di cambiare, beh diciamo almeno di provarci, quasi quasi lo chiamo crescere così mi sembra meno pesante. Mantengo una falcata sostenuta sono a metà sottopassagio, o meglio a metà della parte sinistra, in fondo cìè l'arrivo o la partenza, dipende dai punti di vista e il mio in questo caso non è proprio in grado di darne una chiara ed onesta identificazione. L'unica certezza che palesa nella mia mente è che non devo araggiungere la fine del sottopassaggio, devo fermarmi, devo svoltare, destra, sinistra,...chi può dirlo...forse il tabellone lì in fondo.
Scatto, un centrometrista nato, direbbe il mio allenatore di bocce. Ho scelto di non arrestare la corsa, quindi giusto un'occhiatina di sfuggita, e come va, va. Mal che vada svolto a caso e agguanto il traguardo. Cinque metri, quattro, tre, due, uno. E' un lampo, un sospiro, concentri tutto te stesso in quell'attimo, il cuore pompa sangue tanto da farti bruciare le vene, il tuo sguardo si assottiglia come a catturare ogni singola sfumatura dell'aria, non esiste niente intorno, solo tu e una risposta. Cercarla è inutile, ormai serve sentirla, e sei già passato. Non puoi chiederti cosa hai visto, porti con te la responsabilità di aver seguito l'istinto, di aver dato retta allo sfuggente brillare di un nome, forse riprodotto su un insegna artificiale di un sottopassagio frenetico di una stazione labirintica, ma per la prima volta impresso su un sorriso che va allargandosi mentre sali le scale di un nuovo binario.
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