venerdì, dicembre 28, 2007

Doppelganger

Tengo le tende chiuse. La finestra dà sulla strada, ma nessuno mi vede, se tengo le tende chiuse. Ogni tanto mi avvicino e sbircio, guardo attraverso il tessuto, spio per intravedere il passaggio di qualcuno, ma niente, la strada è vuota.

Dopo l'incidente, passai più di un mese a letto. Facevo esercizi seduto sulla cassapanca, mi sforzavo di piegare la gamba per quanto me lo consentivano i punti. Mi esercitavo.
Le giornate erano lunghe in una maniera indefinibile, la luce che entrava dalla finestra non bastava mai, quando rientravo nel letto appena rifatto mi sdraiavo a fissare il soffitto, aspettando che le lenzuola riprendessero lentamente la mia forma. Mi piacciono le lenzuola fresche di bucato, pensavo, sembra di entrare in terre sconosciute, fissare soffitti sconosciuti. Accendevo lo stereo, ascoltavo i Garbage, I think I'm paranoid, e non capivo perchè le ore non passavano. Mi allenavo.
La mattina mi svegliavo presto, quando stai a lungo a letto il sonno non ti sazia, non sei mai abbastanza stanco da poterti riposare. Mi svegliavo, mi lavavo, facevo colazione, guardavo Mtv. Provavo a studiare, ma il cervello era intorpidito. Arrivavo a sera senza sapere come avevo fatto, e gli unici progressi che vedevo erano quelli del taglio che si cicatrizzava.
Leggevo libri già letti.
Guardavo le nuvole dalla finestra.
Aspettavo telefonate.
Mi esercitavo.
Non ho mai letto tanti numeri di Zagor come in quelle settimane, la foresta di Darkwood mi sembrava nascondere metafore pericolose.
Pulire la ferita, passare il disinfettante, versare il cicatrene, cambiare la benda, variare l'angolo di piega della steccatura.
Fare esercizi.
Piegare il ginocchio.
Camminare.
Usare le stampelle.
Lavarsi i capelli.
Tagliarsi la barba.
Dormire.
Caffè.
Minestra.
Thè.
Svegliarsi.
Una mattina fuori dalla mia finestra era scesa la neve, più neve di quanta ne era scesa in dieci anni. La guardavo, e speravo che scendesse ancora. Ripensavo al rumore che fa la neve quando scende, e al suono che fa quando ci affondi lo stivale. Il rumore soffice di quando la premi, e il silenzio, improvviso e feroce, che lascia nelle strade. Mi sembrava di sentirlo nelle orecchie, quel silenzio, e non sapevo più se ero sveglio o stavo dormendo ancora.

6 commenti:

Weltall ha detto...

In una parola, amico?
BELLISSIMO!
Complimenti ^__^

madmac ha detto...

ecco, l'ho sempre sospettato che questo HK avesse mille frecce al proprio arco. questa era fatta per colpire al cuore.

marina ha detto...

Sono ancora sotto l'influenza di "Respiro " di Thomas Bernard e mi è sembrato di proseguire nella lettura.
complimenti
ciaomarina

Artemisia ha detto...

Ottimo, HK.
Buon 2008 ricco di post scoppiettanti!

Heike ha detto...

Grazie a tutti, e buon anno!

Ed ha detto...

Maledizione, non dovevo leggerlo!
Odio queste cose scritte bene, che s'interrompono proprio quando