giovedì, novembre 29, 2007

10 miti sulla fine del mondo (in realtà no) - il dono della sintesi

Il post di ieri non mi piace più, non mi convince, capisco di averlo scritto senza amore.
Se potessi tornare indietro e riscriverlo con la maturità di oggi, probabilmente toglierei tutto il superfluo e direi solo ciò che mi premeva dire, così:

L'altro giorno ero (...) in panetteria, che dovevo comprare il pane(...). Ero lì che aspettavo (...), e la signora prima di me (...) fa(...) al commesso:
Che pane mi consiglia per la prima colazione?

mercoledì, novembre 28, 2007

10 miti sulla fine del mondo (in realtà no)


L'altro giorno ero in fila in panetteria, che dovevo comprare il pane (se dovevo comprare dei cacciaviti andavo in cacciaviteria, bisogna stare attenti a queste cose, dirigersi sempre nei luoghi acconci, altrimenti si sbaglia e non si ottiene ciò che si desidera). Ero lì che aspettavo, e mi spazientivo, che quando si è in fila in panetteria è un po' una tradizione quella di spazientirsi, non c'hai tempo da perdere, uno entra, che vuole? Pane, eccolo, ecco il vil denaro, arrivederci arrivederci.
E invece mi toccava aspettare, e mi spazientivo.
Poi è il turno della signora prima di me, che io la guardavo senza essere visto, e lei c'aveva il cappotto di Ivsanloràn e le scarpe di Ivsanloràn e il portafogli di Ivsanloràn, tutto in tinta.
Tocca a lei e il commesso fa Desidera? e lei Che pane mi consiglia per la prima colazione? E io a quel punto avrei voluto aprirle il cranio a forza di colpi contundenti con una baguette secca di due settimane.
Per dire.
Che io mica sto qui a pettinar bambole, c'ho una vita, un lavoro, robe impegnative, ho cominciato a vedere la seconda serie di Lost, poi devo finire Myst 5, insomma gente, datevi una mossa, porca miseria.
Ma veniamo al post di oggi.
No, aspetta, un'altra cosa prima. A volte, quando non mi va di lavorare perdo una manciatina piccola di minuti (ma proprio un zinzino) per andare a guardare i disastri che ci sono sulla Rete. E, a parte i deliri senescenti dei complottisti, i destrorsi affetti da danni alla retina e il preccpnte effetto dl glitter slle menti più deboli (k xò nn sn stupide), la cosa che più amo di questo magma ribollente di creatività sono le descrizioni che i blogger danno di sè.
Oh, ce ne fosse mai uno che ama i falsi e gli ipocriti.
Le cose che amo: "i gatti, il mio ragazzo/la mia ragazza, divertirmi, ballare, divertirmi, i gatti, Amici di Maria de Filippi, i gatti" Le cose che odio: "la falsità, l'ipocrisia, le doppie facce, la guerra (la guerra? odi la guerra?), la maleducazione, gli albanesi, chi abbandona gli animali".
E' un mondo meraviglioso.
Vabè, partiamo con questo post, via.
No, anzi, un attimo, c'è anche un'altra cosa, che ormai sto parlando della blogosfera. O quelli che vengono ad elemosinare link? Cioè, ne vogliamo parlare?
Voglio dire, ormai mi son fatto il mio orticello, me lo son curato, c'ho il mio bel pagerank, i miei abbonati in feed, comincio a tirarmela (sto al 1700ecc posto su blogbabel, non so se rendo!), insomma, questo è un bog di una certa qual rilevanza stilistica, non è che arriva uno col blog sui film di Lino Bènfi e mi fa "ci scambiamo i link?" Ma chi sei? Pussa via! O il simil Beppe Grillo che mi dice scambiamoci i link e lavoriamo insieme per il grande cambiamento della politica italiana, anzi no, mondiale.
Certo.
Insomma, nel post di oggi volevo parlare di...è tardi, vado a casa.

Nell'immagine: Capitan Futuro perplesso ma (curiosamente) esaltato dalla notizia che Prodi metterà la fiducia sulla riforma del Welfare.

lunedì, novembre 26, 2007

Un giustificato motivo per (parte quarta)

Ritorna coso con la cosa delle cose.
Insomma, Giangi, il viaggio (interminabile) verso sud.
E' ancora in stazione.
Partirà mai?
Vai col lissio!


......Sei quasi arrivato, mancano pochi metri, finalmente la tua tenacia sarà premiata, ma di colpo ti arresti. Non è la prima volta che ti succede, guarda caso capita sempre quando sei vicino al traguardo, quando stai per concretizzare un idea, un progetto, quando stai per dare un nome ad un volto, quando stai per dare un colore a un sentimento. Come se ad un tratto quel giustificato motivo che ti porta ad essere lì, ad un passo dalla meta, svanisse, confondendosi tra mille ricordi, tra mille pensieri, inghiottito dalla paura di essere scoperto. Così il battito rallenta, la mente si annebbia e il corpo si rilassa, schiacciato sempre più dal peso delle valige, ma il tuo animo si scalda al vibrare delle parole di Tracy Chapman. Ed allora mi lascio trasportare da questa perfetta armonia di accordi cui si accopagna una voce che viene dal cuore e che al cuore vuole parlare, talvolta per scuoterlo talvolta per accarezzarlo...chi se ne frega della carozza 6 posto 42.
Il treno non c'è! Diavolo! Ma dove cavolo è! Ma è già partito? No, non è possibile, figuriamoci, con tutta la corsa che ho fatto. La situzione comincia ad assumere aspetti abbastanza paradossali. Sono in fila, ormai a due passi dal binario 21 e comincio a chiedermi il perchè. Nei volti della gente leggo preoccupazione, dissenso, stanchezza, eppure non siamo neanche montati sul treno, solitamente questi sentimenti cominciano ad affiorare verso la stazione di Piacenza. Ovviamente non lascio Tracy per stare a sentire le solite chiacchere, ma decido comunque di dare un'occhiata in avanti ed ahimè lo scenario che mi si presenta non è dei più confortanti. Uno squadrone di circa 20 poliziotti in assetto da guerriglia urbana è fermo davanti al binario su cui lentamente fa transitare i clienti trenitalia. Per fortuna la canzona volge al termine e se non sbaglio la prossima è un pezzo della vecchia Tina che, con tutto il rispetto, ancora oggi mi chiedo che ci fa sul mio mp3. Decido allora di tenere l'auricolare solo da una parte nel caso il maresciallo o chi che sia decida di farmi qualche domanda. Chissà poi cosa potrebbe chiedermi, non so, mangiato bene? quanti erano i soldati stramazzati a Nassyria? chi ha vinto i mondiali di calcio? come si chiama quello che abbiamo trucidato a Genova? Di domande cui potrei essere soggetto ce ne potrebbero essere tante, il problema è dare risposte non banali e non ho molto tempo per pensarvici. Lo stress sale via via che mi avvicino, non sono preparato, cosa mi invento: non ho potuto studiare! non ho potuto studiare! non ho potuto! (citazione di A. M. classe V A, Liceo Scientifico C. Livi). Alla fine siamo faccia a faccia, io e Manganello (il poliziotto). Ho fatto caso a come scrutava le persone davanti a me per essere meno impreparato al fatidico incontro, ma il campione cui facevo rifermento è poco significativo, trattasi infatti di due anziani sulla settantina. Sta per alzare lo sguardo verso di me, che faccio...mi invento un'espressione da deficente, tipo sorrisone a 32 denti, oppure viso sommesso, in stile cane bastonato. Ancora una volta davanti ad una decisione critica, inaspettata, imprevedibile. Che fare! cosa scegliere, cosa non scegliere, mi guardo intorno, cerco di strappare un aiuto dal pubblico, ma come risultato escono 2 percentuali al 50%, vorrei chiamare a casa, ma non ho una lira, tolgo l'espressione sbagliata! ma chi mi dice che tolgo quella giusta...Alla fine però senza accorgermene avevo valicato la frontiera, evidentemente Manganello si era reso conto di aver avuto davanti una persona che sarebbe stata un pericolo solo per se stessa...

Gli episodi precedenti stanno accà.

venerdì, novembre 23, 2007

La droga uccide. Dille di smettere.

- E passalo 'sto meme, fallo girà.
Mi voltai verso l'impudente, fulminandolo con lo sguardo.
- Sciocco, cosa osi dire con la tua vocetta querula? I meme non si chiedono. Si sta lì seduti con le gambette incrociate, all'umido, davanti al falò, e si aspetta il proprio turno in silenzio, o al massimo cantando le immortali strofe di Battisti accompagnati dalla chitarra di quello che tutte le volte la porta e deve far vedere che lui la sa suonare e quant'è bravo e dai ditemene una che la so, la sai Aquarela do Brasil, no, la sai Suzanne di Leonard Cohen, no, la sai heavy weather, no, vi faccio Battisti, eh bravo, facci Battisti, che ci mancava, e comincia a suonare e massacra tutti gli accordi.
Distolsi lo sguardo. Aveva capito l'antifona.

IL MEME DEL MESE (inoltrato da Daniel - che è un figo perchè mi stima ahaahahah) si intitola....
BLOG? E CHE E' 'STA ROBA?
D - Cioè, voglio dire, perchè, cioè, chi o cosa ti ha spinto a creare un blog?
R - Fondalmentalmente le tragiche circostanze nelle quali versa la carriera professionale e la vita personale del mio grande amico Giorgio Mastrota. Spero di riuscire ad aiutarlo, riportando poco alla volta l'attenzione del pubblico su di lui, in modo che sia chiaro a tutto che Giorgio, davvero, non è felice.
D - Qual'è stato il tuo primo post?
R - Per non urtare la sensibilità del Dalai Lama, persona che stimo soprattutto per il taglio dei suoi abiti, preferirei non rispondere a questa domanda. Grazie.
D - Il post del quale ti vergogni di più?
R - Tutti. Come un buon padre che si rispetti, non posso fare distinzioni tra i miei figli. Pensi che una volta un vigile mi suonò alla porta dicendo che aveva trovato due piccoli post che si erano smarriti al parco, e voleva sapere se erano miei, e io, come ogni buon padre che si vergogni dei propri figli, dissi "chi, io? Mai visti prima". Poi li fustigai.
D - Il post di cui sei più fiero?
R - Questo.
D - Il post di cui sei più fiero (tra quelli scritti da te, deficiente)?
R - Scusa, ero distratto, dicevi?
D - Per quanto tempo ancora pensi che ci ammorberai con il tuo odiosissimo blog fomentatore d'odio e dalla grafica ripugnante e che puzza come formaggio di capra putrefatto immerso in liquami marcescenti in una fogna a cielo aperto alla periferia di Aulla?
R - Finchè Giorgio non sarà felice, porca di quella perbaccolina!

Ringrazio Daniel per avermi passato il giochino, e a mia volta lo inoltro a:
- Artemisia (l'altra volta mi ha dato buca, se lo fa ancora smetto - fino al prossimo meme)
- Nipote (se questa volta capisce come funziona, così almeno scrive qualcosa)
- il semprevalido Weltall (se non l'ha già fatto)
- al trio di Makkesfiga (se ancora c'hanno voglia di postar qualcosa)
- Paleozotico (che è un grande, aspettate che se ne accorga)
- infine a (non lo farà, perchè non ha tempo e non può perderlo in queste minchiatine, ma se lo facesse - disegnato - sarebbe uno spettacolo) Makkox.

Gente, funziona così: vedete lì sopra le domande in grassetto? Fatevele e rispondete (me sento Marzullo, me sento) nel modo che più vi aggrada, poi passate la palla ad altri che vi stanno simpatici (o che odiate, dipende con che spirito lo si fa), proprio come ho fatto io.
Finis.

Nella foto: Robert Mitchum ci disprezza tutti. Tutti.

martedì, novembre 20, 2007

Streben

Interpretare i rapporti sociali attraverso l'economia,
e i rapporti umani attraverso il sesso.
Paolo Nori

La settimana scorsa (mi pare) ho fatto un post ove parlo male e con livore inatteso di una grande multinazionale dell'abbigliamento della quale, come tutela legale, ometterò il nome (Benetton, oops). Inaspettatamente, ho ricevuto il plauso delle genti.
Che sensazione inebriante, il popolo mi acclama, ah che bello, adesso capisco cosa provava Hitler.
Però non devo montarmi il capo, se Beppegrillo con il suo blog può portare in piazza milioni di persone, io col mio, se scateno le armate dei miei lettori, riesco al massimo a tenere una riunione di condominio (in seconda convocazione). Magari non riusciamo a cambiare il mondo, ma le grondaie si (e anche una bella imbiancata alla facciata, via)*.
Solo che mi scoccia adesso tornare ai temi usati, 'sta pallosissima nostalgia politicamente corretta dei post sull'infanzia o quelle robe lì di Luke Perry che fanno ridere solo me (e Luke, ma lui è irrecuperabile).
Basta.
Ho deciso che da oggi in poi questo blog porterà avanti cause civili ed etiche, tipo quella cosa lì che non bisogna ammazzare i cuccioli di foca a mazzate sulla capa, o che l'inquinamento è una cosa brutta, ma brutta brutta, e la pena di morte è sbagliata tranne per chi ammazza i cuccioli di foca a mazzate o butta le gomme da masticare per terra che poi ci metto il piede sopra e devo stare dieci minuti a strisciare sull'asfalto la suola delle Clark's (si, io porto le Clark's. Sono un signur, mica come voi pezzenti che c'avete le Adidas Torsion anche sotto la doccia).
E allora oggi si parla di un argomento molto, molto sentito, e cioè
DEL PERCHE' CERTUNI SENTONO L'ESIGENZA DI COMPRARSI UN FUORISTRADA BENCHE' VIVANO IN CITTA' E L'ULTIMA VOLTA CHE SON STATI IN CAMPAGNA ERA PER IL MATRIMONIO DELLA CUGINA CLOTILDE (1965).
Il SUV non è, in genere, un veicolo urbano. Fatto per percorrere strade impervie, ha un rapporto peso/potenza che porta a consumare tanto petrolio quanto ne consuma in un anno la Namibia - e solo nel tratto di tre chilometri che separano, in genere, la casa del proprietario dal baretto dove prende l'aperitivo con gli amichi (amichi è scritto così, intenzonalmente).
In genere chi si compra il fuoristrada poi sale e scende compulsivamente dai marciapiedi per giustificarne (anche solo a se stesso) l'acquisto, tipo "con la Punto questo non avrei potuto farlo", lascia la bestia in doppia/tripla fila perchè non trova un posteggio abbastanza grande (in realtà trenta metri più avanti c'è un piazzale completamente vuoto, ma è troooooppo lontano dal baretto).
A volte anche le mogli di codesti professionisti (perchè i proprietari sono esclusivamente: 1-avvocati; 2-notai; 3-medici di base; 4-commercialisti; 5-imprenditori del ramo tessile; 6-Cristian Vieri; 7-direttori di agenzie locali di sviluppo nonchè ingegneri; 8-magnaccia), dicevo, anche le mogli utilizzano codesti oggetti, per recarsi ad acquistare prodotti artigianali di gusto squisito, oppure prodotti alimentari freschi-freschi alla "gastronomia che mi tiene da parte i pezzi migliori" (quelli peggiori poi vanno ai cretini come me he girano in bicicletta e comprano il pane alle 7 e 1/2 la sera) o da Jean-Louis David per l'acconciatura e la messa in piega del barboncino Fuffolo.
Che se lo trovo per strada, 'sto cane...
Ma perchè, perchè un tizio che non conosce nemmeno la strada per andare alla Futa deve comprarsi una mostruosità di fuoristrada, se poi lo usa per andare - al massimo - al Forte dei Marmi a prendere l'aperitivo?
Ho una teoria.
Questi oggetti grandi e grossi, vistosi, ingombranti, spesso neri e lucidi, guidati da uomini di una certa età...
Io lo chiamo "compensazionismo fallico" o "sindrome da sento che ce l'ho piccino e rimedio al mio deficit sociale ed emotivo con questo oggetto mostruoso".
Quando sei lì sopra e guidi quel coso, sei un uomo, un vero uomo, tipo Massimo Cacciari, e le donne ti desiderano.
Poi scendi e sei il solito trippone pelato con le gambe storte e i denti marci, le donne ti ignorano e allora compri un Jeep ancora più grande, più potente e che consuma di più, e a me mi sale il prezzo della benzina per colpa tua (e dello stipendio di Ibrahimovic).
Che poi, a dirla tutta...utilizzando le nevrosi sessuali si possono interpretare un sacco di cosi sociali: tipo l'omofobia, che secondo me non è odio verso i gay, ma (attenzione) paura delle donne. L'omofobo odia l'omosessuale perchè lo vede passivo, come le donne, e interpreta l'omosessualità non come inclinazione affettiva ed attrazione verso il genere, ma come comportamento sessuale: per l'omofobo essere gay significa essere passivo, proprio come le donne. Quindi odia i gay perchè (nella sua testa) rinunciano al ruolo attivo tipico del maschio e diventano tutti passivi come le femmine. I fascisti picchiatori che urlano "a' frocio" in realtà odiano la donna come categoria (e questo in effetti mi spiega tutto quell'immaginario tipicamente macho della destra).
Forse, o forse no, non ho deciso.
Mi sta venendo mal di testa, con tutte queste chiacchiere.
Rompete le righe.

* questa battuta in realtà non è proprio mia, sarebbe di Leonardo Ortolani, ma se non sapete chi è allora è mia.

Nella foto: Baudelaire e la sua Porshe Cajenne

venerdì, novembre 16, 2007

Pedala, porca miseria

Mi son preso una bici di mio babbo, e la uso per andare al lavoro.
È una bella bici da corsa color cipolla, c’ha il cambio Campagnolo di quelli sul telaio, che ti devi chinare per cambiare rapporto, ma mio babbo ha cambiato manubrio, non c’è più il manubrio da corsa, ce ne ha messo uno da bici da passeggio, così se mi chino per cambiare rapporto mi piego troppo e mi sbilancio e sbando, e le macchine mi suonano il clacson e mi fanno “Fai più attenzione, sbadato” o almeno mi pare.
Allora non cambio rapporto, tengo sempre lo stesso, che per fare tre minuti di andata e tre di ritorno in pianura in mezzo alla città va più che bene.
Io mi ricordo che quando ero bambino io all’inizio non volevo imparare perché avevo paura, ma c’era la figlia di un amico di mio babbo che era più piccina di me, e lei in bicicletta aveva già imparato e io no, e quando mi hanno detto, i miei fratelli, che la Fabiola in bicicletta ci sapeva andare mi son detto epporca miseria no eh, allora anch’io, che ero competitivo già allora, e ho imparato ad andare in bicicletta.
Andare in bicicletta è questa cosa strana, che una volta che capisci come funziona poi non te ne scordi più, non è un modo di dire, è vero, te la guardi e dici come fa questa cosa a stare su, non vedi che c’ha due punti d’appoggio soli, mica è un tavolino, e non son larghi, come i miei piedi (avevo i piedi larghi), son piccini, son proprio piccini, come la maestra che ha detto che il cerchio tocca la retta in uno e in un solo punto, la ruota tocca terra in uno e in un solo punto, son due ruote, son due punti, il triciclo è meglio, non c’è bisogno di studiare, è intuitivo.
Poi ci sali sopra, pedali un po’ e capisci.
Però ci devi salire, non te lo posso spiegare, la bicicletta sembra un controsenso, per capire come funziona, che non casca, ci devi salire, poi anni dopo ti fanno “eh, è il principio del giroscopio” e te fai “eh?” e loro “come la bicicletta” e te “ah ecco, lo sapevo che c’aveva un nome, ‘sta cosa qui”.
Oh però, è chiaro, si casca di bicicletta. Una volta, avrò avuto dodici anni, ero andato da Claudio a riprendere un libro, qual’era, boh, ero in bici, e mi son detto meglio non tenerlo con la destra, il libro, se devo frenare, lo prendo con la sinistra, ho staccato la sinistra, ho staccato la destra per passare il libro alla sinistra, poi non so come o perché ero in terra e m’ero graffiato il gomito.
Son storie, eh.
Che non sembra, ma tutte ‘ste cose, le cadute, queste robe umilianti, ti lasciano segni, tipo sulla pelle, io c’ho una cicatrice di quindici centimetri sul ginocchio – non c’entra nulla la bicicletta – che bene o male è un ricordo, la prova che certe cose son successe e non son successe solo nella testa, meno male c’ho queste cicatrici, ma non tante, che di ciascuna so dove è nata, son come figli questa cicatrici, mi ricordano che ogni tanto bisogna fare un segno, per capire quanta strada s’è fatta.
E i ciclisti secondo me le cicatrici ce l’hanno, sui polpacci, tutte le grattate dell’asfalto, che poi loro i peli delle gambe se li levano sì per quella cosa lì dell’attrito, vabè, se ci vuoi credere credici che i peli sulle gambe li rallentano, liberissimo, poi però diventi uno che crede a tutto, e non ti lamentare se poi un giorno qualcuno ti truffa e ti ruba cinque-sei-settecento euri, i peli sulle gambe se li tagliano perché se caschi in terra sull’asfalto e ti sbrani la gamba ti devono disinfettare, e i peli son veicolo d’infezione, per questo se li tagliano i peli i ciclisti.
E allora io mi chiedo quante cicatrici ci deve avere uno come Miguel Indurain, tipo, tra le volte che è cascato e quelle che l’hanno dovuto operare che si deve essere rotto tutte le ossa delle gambe, una per volta, e adesso ha smesso e non so nemmeno che fa, magari ha aperto un bar con ricevitoria, e gli amici che lo vanno a trovare mentre bevono l’amaro averna gli fanno facci vedere le gambe Miguel, lui sorride, dice no no, poi però solleva i pantaloni e fa vedere le cicatrici, che ora si vedono meno, perché magari adesso i peli non li taglia più Indurain, i peli sulle gambe, perchè ha smesso saranno anni, e i ciclisti, quando smettono di ciclettare, a me fanno tanta nostalgia.

giovedì, novembre 15, 2007

Un giustificato motivo per (terza parte)

Ritorna, in tutto il suo ipnotico delirio, Giangi con la narrazione della sua discesa da Milano in quel di Città Cupa. Già che ci siamo, lancio la campagna "Sposa Giangi e vinci un viaggio". O voi giovani indaffarate al punto di non avere tempo da dedicare al cuore, voi romantiche squinternate, voi donne con le nuvole nella testa, scrivete al Blog Ottuso e potrete partecipare al grande concorso "Sposa Giangi e vinci un viaggio", che vi permetterà di sposare (entro la fine dell'anno) un giovane aitante e di belle speranze e allo stesso tempo partire per una gita nell'hinterland milanese.
Partecipate, partecipate, partecipate!
Vai Giangi (se ti incazzi sei permaloso come D'Alema).

Eppure in tutta questa storia continui a dirti che manca qualcosa...sì, il treno, ed ormai mancano circa cinque minuti alla partenza. Intorno a te scruti volti anonimi di gente che discute, si interroga, si anima, chissà...io mi sto sentendo i Cramberries e francamente preferisco evitare di entrare in dibattiti dal livello che ricondurrei a quello di un pensionato frustrato. Osservi così, non lontano da te, quell'ammasso di cappotti, messe in piega e brufoli che si somigliano in maniera così impressionante sia nella loro tragica fotografia che nei loro movimenti, tant'è che ad un certo punto come se folgorati da una metafisica apparizione volgono tutti l'attenzione verso un punto ben preciso nel microcosmo della stazione: il tabellone. Ovviamente tu che fino a pochi secondi fa ti eri distinto da loro che fai? Fingi indifferenza, ma con la coda dell'occhio sei lì, appiccicato a quel diavolo di tabellone. La sua forza attrattiva va oltre ogni tua immaginazione, per un attimo sembra che nella tua vita nient'altro abbia mai catturato la tua attenzione. Provi allora a distogliere lo sguardo, ma niente, l'energia sprigionata dal tabellone ti assale, finchè non decidi di lasciare che anche i tuoi occhi si lobotomizzino davanti alla casella BIN del treno IC PLUS, dove bin ovviamnte sta per binario. La casella gira vertiginosamente, non sembra arrestarsi, come se non volesse emettere la sentenza che tu da giudice esperto ovviamente hai già assegnato al binario 16. Le tue convinzioni però cominciano a vacillare per il fatto che su quel binario ci se praticamente solo tu, ma non puoi certo rinunciarvici così, solo perche per una volta la statistica sembra non aiutarti. Proprio nel momento in cui insinuo quel dubbio nella cantina di dubbi che albergano nella mia mente, peraltro alcuni di ottima annata, il tabellone emetta la sua spietata sentenza: binario 21!
Ventuno?21! e che è!, ma c'è?, ma dove! ma da quando! chi è!
Queste le prime cose che ho pensato poi arrivano le bestemmie, ma su queste farei un salto di un paio di righe .................................................................
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Vabbè non perdiamo la calma, hai il tuo mp3, un bel respiro e oplà, le valige son già sulle spalle, non perdo tempo e cerco di anticipare almeno una parte delle famiglie che si trovano alla base del binario (furbamente, stavolta devo ammetterlo, dannazione!). Eh, eh, ma io son giovane e scaltro e con ottimo problem solving, posso batterne almeno una buona parte! Mi lancio con passo deciso verso il 21, non ho occhi per nessuno se non per il binario, se sei davanti a me, meglio che ti scosti, non avrò pietà a camminarti sopra e guadagnarmi il posto che mi spetta, il 42 carrozza 6. Sono momenti di tensione, sento gli sguardi della gente che vorrebbe avere la meglio, anticipando le mie mosse o magari ostacolandomi nella corsa verso il traguardo.Cavolo!, ma quanti sono!, sembra che tutta Milano voglia prendere questo dannato treno. Non mi perdo d'animo, forse non sarò il primo, ma una buona posizione voglio ritagliarmela.

martedì, novembre 13, 2007

Sassolini

Che a me, se in questo paese di beoti c’è uno che mi fa arrabbiare, ma arrabbiare abbestia, è (segue lungo, interminabile e curiosamente variopinto elenco di personalità del mondo della cultura, della politica, dello sport e dello spettacolo, inframmezzate con nomi di conoscenti, conoscenti di conoscenti, amici di conoscenti e amici di amici, con categorizzazioni qualunquiste, come, ad esempio “quelli che parcheggiano in doppia fila”, “le impiegate delle poste”, “i vecchi tromboni che si lamentano di tutto”, e curiosità sociologiche, tipo Pierluigi Diaco o quello che alle sei di mattina passa davanti a casa nostra con la vespina scurreggiante. Per la gioia degli astanti, procedo al sorteggio per decidere su chi riversare un bel litro di astio giornaliero.
Oh-o, il vincitore di oggi e nientepopòdimenoche il celebre fotografo ed artista) Oliviero Toscani.
Oliviero Toscani.
Ah, Toscano Olivieri.
Soliviero “ora vi scandalizzo io, manica di borghesi” Tocani.
Oviliero “managgia, ho ritratto un prete che bacia una suora! Quanto sono trasgressivo! Guardate, adesso faccio una foto a un bambino negro! Adesso la faccio a una bambina bianca! E adesso? Adesso…(suspence!)…le metto vicine! Uh, quanto sono originale! Aah!” Tocsani.
Posso dirlo? Orivielro Costani è una merda.
Oh, adesso si.
Le foto di Toscani sono perfette, tecnicamente ineccepibili. Da qualche parte ho letto una intervista nella quale dichiarava di usare macchinette a bassa risoluzione, niente studio di posa, foto naturali e realistiche. CAZZATE (l’ho scritto grande, così lo vedono anche i passanti distratti. Anzi, lo scrivo di nuovo e ci metto pure qualche punto esclamativo, così ne sottolineo l’impatto polemico) CAZZATE!!!
Caro Oliviero, come dire, posso dirti una cosa? Tu sei un grande professionista, un ottimo fotografo, un eccellente pubblicitario, uno che sa come si fa ad incassare assegni di centinaia di migliaia di soldi. E questo è un merito, e tu lo sai.
Orvilieo Stocani è considerato una mente. Uno che tocca la merda e la fa diventare oro. Anzi, ci fa la foto, alla merda, che così oltretutto puzza meno, e la fa diventare oro. A me fa imbestialire la considerazione che uno deve guadagnare – come artista duro e puro – facendo esattamente l’opposto di quello che un artista duro e puro dovrebbe fare, e cioè vendersi. La roba di Erovilio Castoni è pura fuffa, scandalo da poco, pura mancanza di ironia – cioè quella roba che fa la differenza tra arte e non-arte. È un fotografo di moda – che, ci mancherebbe, lavoro dignitoso quanti mai ce ne furono – che non fotografa la moda, se non nell’ottica del “io ti faccio vedere la morte, il dolore, la discriminazione, il sangue, la violenza, te mi compri le maglie”.
La prossima volta che vedrò un’immagine di un malato terminale circondato dai suoi familiari rifletterò su quanto l’arte di Iloviero Incasto ha modificato il nostro modo di affrontare i reali problemi del mondo, osserverò pensoso la loro efficace campagna comunicativa e andrò di corsa a comprarmi una bella sciarpa Burbetton, perché l’inverno arriva e mica voglio raffreddarmi.
Che poi, qui nella Città Cupa, se c’è un nome che fa paura anco ai bambini è quello del datore di lavoro di Vierolio Nicasto, una azienda che sta pecoraformando l’Argentina e che qui da noi ha portato al fallimento decine di piccole-medie imprese, utilizzando il seguente stratagemma:
- Pronto, Filatura Pezzati.
- Buongiorno, chiamo dalla celebre azienda tessile Burbetton, vorrei fare un ordine da voi.
- Dica.
- Duecentomila metri di cardato rosso, centomila di tartan, un milione di metri di pettinato blè.
- …
- Pronto?
- Oddio, si fa ‘quattrini! Armida! Si fa ‘soldi! Vogliano un monte di roba! Come chie? I’Burbetton! Via, andiamo a fare debiti per preparagli la roba.
Due mesi dopo.
- Pronto, Burbetton.
- Sie, bongiorno, e sono i’ Pezzati. Senta, noi vi s’è mandato la roba, ma un se’ ancora riscosso.
- Si, probabilmente c’è un problemino di codici con la banca, per la Riba. Rimedieremo presto.
- No, perché io c’ho le banche che la mi stanno addosso, e se…
- Anzi, guardi, la stoffa non era buona, gliela rimandiamo indietro.
- Come?!
- Si, e probabilmente le facciamo anche causa.
- Ma?!
- Addio.
Sei mesi dopo.
- Pronto?
- È la Filatura Pezzati?
- Dipende. Che è un creditore?
- No.
- Allora dica.
- Vorremmo farle un offerta per rilevare la sua azienda.
- Madonnina santa, lo sapevo che c’era un’anima bona che…
- Le offriamo un tozzo di pane.
- …
- Secco.
- …
- Via, anche un bicchier d’acqua tiepida.
- Mi tocca accettare, son finito sotto terra coi debiti…ma lasciamo perdere. Ci si vede domani pe’ firmare i’ contrattino, eh? Ma mi scusi, chi vu saresti voi?
- Burbetton.
E così la grande impresa si espande.
Che voglio dire, il magnaccia che schiaccia i suoi avversari con metodi al limite della legalità, distrugge il tessuto economico e produttivo di interi paesi, si espande con ferocia, diversifica in settori che da dirne ne avrei a pacchi (tipo le autostrade. Che cacchiaccio c’entrano le autostrade con le maglie, dico io), si prende la responsabilità di far diventare famoso e miliardario Briatore, ecco, una società, un’azienda, una multinazionale così, poi mi si propone come l’azienda ggiovane che fa campagne promozionali choc e politically uncorrect e tanto ma tanto anticonformiste e sincere? Dovreste pagare i diritti all’AIDS. Dovreste, con tutti i soldi che v’ha fatto fare.
E tu, artista dei miei palloni, che ti vendi per passare il messaggio più conformista che c’è e cioè c’è tanto male nel mondo, ahimè quanto male c’è nel mondo, i potenti e i cattivi ce lo tengono nascosto ma ahimè c’è chi soffre, e noi ve lo diciamo perché siamo sinceri e indipendenti.
Ma schianta.
Che poi, avrei anche da dirne su quella bella pensata della pubblicità contro l’anoressia, ma lasciamo stare, che mi fa male il fegato abbastanza.
Vado a farmi una camomillina.

lunedì, novembre 12, 2007

Raid contro gli immigrati

Ma non era contro le zanzare?

Qui la notizia, invero non proprio nuova, ma internet in questi giorni ci va talmente piano che le notizie arrivano dopo giorni.
Vado a mettere altri criceti nel server.

giovedì, novembre 08, 2007

Necrologio per coso, lì.

E così, è successo.
Te ne sei andato.
Sei morto nello stesso modo in cui hai vissuto la tua vita: discretamente, in silenzio, con garbo ed eleganza.
Il tuo volto familiare, da nonno bonario, la tua voce pacata, l'accento tipico delle tue terre, tutto ti rendeva così familiare al cuore di tutti noi, vicino, ma vicino mai abbastanza, come tutti i nonni, che non sai cosa pensano veramente.
E gli ultimi anni della tua vita, funestati da un ostracismo inconcepibile per una persona del tuo talento, della tua competenza, della tua statura morale.
Ti veniva impedito di lavorare.
Ti veniva impedito di fare ciò che avevi fatto tutta la vita.
Ti veniva impedito di entrare nelle case degli italiani.
Ti veniva impedito di fare il tuo mestiere, a te, che l'avevi insegnato a tanti.
Quanto dovremo sentirci in colpa, da adesso in poi, per non averti dedicato la giusta attenzione?
Quanto dovremo rammaricarci per la nostra stolta indifferenza?
Chi ci restituirà gli anni della nostra giovinezza, quando ci facevi commuovere, ridere, appassionare?
Forse adesso che sei nei luoghi dell'altrove, potrai mandarci altri messaggi che ci scalderanno il cuore, e lo farai attraverso i nostri ricordi.
I nostri ricordi di te.
Si, non ti scorderemo mai, grande, immenso, unico, Renzo Biaggi.

martedì, novembre 06, 2007

Maieutica sonnambula

Oggi pensavo una cosa, mentre ero in fila alla posta – che questa cosa della fila alla posta è da rivalutare, perché, per dire, invece di stare lì che ti lamenti e dici eh ma questa fila mica si muove mai, magari chiudi gli occhi dieci minuti e cerchi di non addormentarti, che alle poste ci fa quel calduccio che ti fa sonno, e magari ti metti a pensare due-tre cose, che sennò tra il lavoro e questo e quello finisce che tempo per pensare non è che ce ne hai tanto. E allora la fila alla posta è cosa buona e giusta, anche le vecchie che devono pagare il bollettino della luce al cimitero e bloccano la fila per contare le monetine e mancano sempre quindici centesimi, omamma ce l’avevo, guardi signora non importa, nono, ce l’avevo, un va mica bene, o che avrò perso i’ capo? ecco, anche loro fanno simpatia. E allora oggi, mentre ero alla posta ad aspettare che la vecchia maledetta ritrovasse quei fottutissimi quindici centesimi, ho fatto un esercizio zen e mi sono rilassato, e ho diretto altrove il mio pensiero, e mi sono ritrovato a vagare per contrade sconosciutissime della mia testa, e ho pensato questa cosa, questa cosa sulla bellezza.
Che la bellezza è una roba strana.
Per dire, che poi quel che è bello e brutto mica c’è una giuria a deciderlo – e se c’è a volte è anche peggio – e allora il bello e il brutto uno se li decide da solo, son robe personali, tipo. Come che una volta io c’avevo un amico bruttissimo, ma bruttissimo forte, che non lo dicevo solo io, lo diceva anche sua mamma, e aveva trovato una ragazza bruttissima, ma brutta in una maniera che non la si può descrivere, tipo che Maria de Filippi in confronto è un bell’uomo, e una volta che si son dati un bacetto in pubblico la gente ha protestato e han chiamato i Carabinieri a separarli, e secondo me avevan ragione, ‘che son cose non si dovrebbero vedere in un paese civile. Però insomma, tra di loro si piacevano e tutto questo per dire che le robe belle e brutte sono negli occhi di chi le guarda, anche se uno è strabico come la ragazza brutta di questo amico brutto, e questa è una cosa che dicono anche i critici d’arte, tipo Vittorio Sgarbi, e vabè che di solito una cosa se la dice Sgarbi è automaticamente una cagata, però questa volta è vero (anche se secondo me, ma magari mi sbaglio, i critici d’arte pensano che la roba negli occhi che fa vedere se una cosa è bella o brutta ce l’hanno solo loro. Sarà predisposizione genetica, sarà). E insomma, magari è anche una banalità, ma bisogna ricordarselo ogni tanto, che ognuno c’ha i suoi gusti e la sua dignità, c’è pure gente che ci piace Lezioni di piano della Jane Campion, per dire, ma io mica posso andare lì a dire ma siete analfabeti, che c’avete al posto dell’apparato sensoriale, delle scimmie urlatrici? E anche quei beoti trucidissimi che votano Lega Nord, ‘sti zozzi, devi star lì e dire va bè, c’è posto per tutti, al mondo.
Poi ho aperto gli occhi e allo sportello B avevan chiamato il numero 137, e io ho guardato il mio numerino e c’avevo il 121, e la gente mi guardava perchè nella trance zen avevo anche russato, e io ho pensato che bisogna pensare meno e agire di più, alle volte.

lunedì, novembre 05, 2007

Un giustificato motivo per (parte seconda)

A volte (oggi) ritornano...seconda puntata delle avventure di Giangi: riuscirà a tornare a casa in tempo per la peperonata?

Si parte allora!!, L'inizio è un pò blando, movimento a dir poco ripetitivo, su cui potresti abbandonare il tuo animo inquieto, lasciando che quei matematici passaggi scandiscano i battiti del tuo cuore. Chiudi gli occhi allora, il tuo corpo sembra rilassarsi all'infinito, ti lasci trascinare da quella per un attimo hai il terrore di chiamare vita. Ecco che però ad un certo punto ti svegli come se d' ìmprovviso ti strattonassero per un braccio. L'armonia leggera assaporata fino ad un minuto fa si dissolve dietro ad un inespiegabile incalzare del tempo che inesorabile determina arbitrariamente improvvisi cambi di ritmi. Non lascia spazio neanche per farti soffermare su un pensiero, è una cavalcata continua che graffia,taglia, ti ferisce e non si volta...diavolo di un Jimmie Page, potevi aspettare un altro quarto d'ora prima di sparare il tuo assolo?! Quel quarto d'ora che ormai manca alla partenza del treno che ancora non figura nel menù offerto dal ricco tabellone ferroviario. E sì, ci sono proprio tutte, intendo le destinazioni possibili e immaginabili: Crotone, Mantova, Torino, Zurich, Venezia, a dire il vero c'era anche la mia...Napoli ma a differenza delle altre non è accompagnata da nessun numero che faccia riferimento a un cavolo di binario. I Led Zeppelin mi dirigono verso il binario 16, dove già centinaia di persone si accalcano nella speranza che ad un certo punto dal tabellone venga confermato quello che da secoli è ormai stato battezzato come il binario della tratta Milano-Napoli. D'altra parte io, avvalendomi dei miei rinomatissimi studi universitari , non posso che indirettamente avvalorare quei principi economici e statistici su cui avevo consumato occhi e meningi per anni...troppi, forse. Decido però di trovare come al solito un modo per distinguermi, mi dico: mai essere conformisti!, ci vuole una trovata non geniale ma semplicemente diversa che magari possa rivelarsi utile. Allora via! mi faccio largo tra la gente evitando sguardi indagatori e con passo felpato e quell' aria da furbetto spocchioso mi incammino lungo il binario sedici, sicuro e soddisfatto di non essere stato seguito da nessuno. Ma quanto mi piacerò! devo assolutamente festeggiare questa mossa che sa un pò di scacco matto o di scala reale dopo una mano tiratissima. Un bel succo alla pera è quel che ci vuole! se poi ci mettiamo anche i Counting Crows come base, direi che la giornata inizia alla grande, sono pronto a divorarla sino all'ultimo morso, ... avverto solo un leggero formicolio alla schiena ed alle braccia, ehm...dieci kg di valige, forse è il caso di liberarmene. L'istinto direbbe un bel lancio verso il binario, tra l'altro ancora vuoto, ma il senno o meglio quello che tua madre ha cercato disperatamente di insegnarti fino a pochi giorni fa ti suggerisce una soluzione meno drammatica e magari più agevole, quella di appoggiarli in terra e magari appoggiartici sopra. Sì, diciamo che il consiglio della matriarca terminerebbe all'atto dell'appoggiarli in terra, il resto è una tua nostalgica rivisitazione post adolescenziale, che mai hai abbandonato e che per la quale trovi sempre quel giustificato motivo per farla rivivere, anche solo per un istante....