Era notte fonda, e la striscia d’asfalto si snodava intermittente davanti a me. Una pioggia sottile batteva sul vetro, e il tergicristallo bastava a malapena ad allontanare le gocce, ma non il mio malumore. Maledizione, pensai, questo storia non mi convince. Ripensai a quello che mi aveva detto il marito della bionda. Inutile, le sue vaghe scuse non riuscivano a cancellare un forte senso di inquietudine, e l’idea che ad indagare sul caso fosse il commissario Platton non mi tranquillizzava affatto. La mia cliente era morta, ammazzata da un colpo di rivoltella, nessuno mi avrebbe pagato, e mi ero anche preso una bella battuta dagli sbirri. Per l’ennesima volta mi sentivo fregato. E la berta, nella fondina, mi sembrava molto più pesante del solito.
Abbassai distrattamente lo sguardo verso il tachimetro, e mi accorsi che una spia gialla segnalava il serbatoio vuoto.
Maledizione, pensai, una spia gialla mi segnala il serbatoio vuoto.
Allungai la mano verso le sigarette, sperando che una paglia potesse aiutarmi a rilassarmi.
Il pacchetto era vuoto, avevo anche finito le paglie.
Maledizione, pensai, ho anche finito le paglie.
Rovistando nel posacenere, riuscii a trovare una mezza paglia spenta, ci soffiai sopra per scuotere via la cenere, la raddrizzai e me la misi in bocca.
Presi la scatola di cerini dal taschino, ma era vuota.
Maledizione, pensai, doppia maledizione.
Per una volta, però, la fortuna non mi aveva del tutto abbandonato. Poco più avanti lampeggiava l’insegna di un locale.
Bene, pensai, forse la fortuna non mi ha del tutto abbandonato, ecco là l’insegna di un locale.
Mi avvicinai al distributore e riempii il serbatoio. Poi accostai la macchina nel parcheggio e scesi. La strada era deserta, e la luce intermittente al neon friggeva nel silenzio della notte. Indossai cappello e soprabito per ripararmi dalla pioggia e mi incamminai lentamente verso il locale.
L’aspetto era quanto meno dimesso, e attraverso le vetrate vedevo all’interno pochi inservienti vagare svogliati. Sorrisi amaramente. Ancora una notte in giro per la città a parlare con sconosciuti che non rivedrò, pensai, ancora una notte insonne, ancora una notte perduta dietro ai problemi degli altri.
Maledizione, pensai, devo anche andare in bagno.
Entrai e mi avvicinai al bancone. Una stanca cameriera dalla chioma bionda mi si avvicinò.
- Ehi Flo, dammi un doppio whisky con ghiaccio. E anche un pacchetto di Lucky Strike.
- A quest’ora non possiamo servire alcolici. I tabacchi li trova alla cassa.
Maledizione, pensai, ma che diavolo…
- Che diavolo, cosa significa che non potete vendere alcolici? Avanti, ti sembro un ragazzino?
- Guardi, a quest’ora sull’autostrada noi non si pole vendere alcolici. Non li possiamo dare. Poi sennò arriva la polizia e ci fa la multa e noi e a lei, e a me mi mandan via.
Gli sbirri mi perseguitano, maledizione.
- D’accordo, vorrà dire che per una volta rimarrò a secco. Allora preparami uova e prosciutto, che non mangio da ieri, e prepara un bel po’ di caffè. E tagliami una bella fetta di torta di mele.
- Senta, io il caffè glielo fo anche, ma da mangiare bisogna che vada a prenderlo al self service, qui al banco si fanno panini e basta.
Maledizione.
- E va bene – mi alzai di malavoglia – dove diamine, con rispetto parlando, è adesso questo auto servizio?
- In fondo alla sala, ma a quest’ora le cucine son bell’e chiuse. Gli è tardi, che ha visto che ore sono?
- D’accordo – mi risedetti, ma stava cominciando a venirmi la mosca al naso. La berta era sempre più pesante, nella fondina – allora cosa posso mangiare?
- C’è i panini.
- Okay, va bene, allora fammi un bel sandwich con fegato e cipolle, e non risparmiare sulla mostarda.
- I panini son confezionati, un si possano preparare noi. Vole un camogli?
Camogli…una volta conoscevo un certo Alfredo “Al” Camogli, un mafiosetto di scarsa categoria, una innocua verdesca nel mare di squali che è il racket di Brooklin. Un tizio, un tizio ricco, chiamiamolo Tizio Ricco, mi aveva assunto per indagare sulla moglie, che sospettava lo tradisse. Io dico d’accordo e mi metto a pedinarla, nel modo discreto che un buon lince privato deve conoscere se vuol fare questo mestiere. Beh, alla fine salta fuori che la moglie lo tradisce con il figlio di un boss, chiamiamolo don Faffone, e che a don Faffone non piace che qualcuno pedini l’amichetta dell’amato rampollo (vorrei sapere come avevano fatto a scoprirmi, tra l’altro). Allora viene a trovarmi uno scagnozzo, Al Camogli appunto, e mi viene a dire che sto dando fastidio, al che io replico che le mie passeggiate innocenti non possono dar fastidio a nessuno se non a cani randagi e mogli infedeli, lui si inalbera e tira fuori la berta, ma
- Glielo scaldo, il camogli?
- Si grazie.
Insomma, finisce che preme il grilletto prima di toglierla dalla fondina si spara a un piede. Ho dovuto freddarlo. Bravo ragazzo Al, ma per niente tagliato per quel lavoro.
Il panino era indigesto come Al ma più cattivo. Per mandare via il saporaccio avevo bisogno di una bella tazza di caffè.
- Ehi Flo…
- Guardi, io un so chi la chiama, io mi chiamo Ivana.
- Brava Ivana, adesso per mandare via il saporaccio del panino ho bisogno di una bella tazza di caffè.
- Ecco qua.
- Ehi bella…
- Si?
- Mi sa che hai sbagliato tazza, questa qua è quella per i nani.
- Eh?
- La tazza, il caffè, cos’è questa roba? Al massimo mi ci bagno il naso.
- Ma icchè vole?
- Una tazza di caffè!
- Omamma, tutt’ammè e’ grulli…
Decisi di rinunciare al caffè, maledizione, e mi avviai verso l’uscita. Ma la porta era sbarrata.
- Maledizione, ma che diamine…
Stavo allungando la mano verso la berta quando mi si avvicinò un ragazzetto con il viso deturpato dall’acne e con un abito da inserviente.
- Signore, l’uscita l’è da quella parte, da qui s’entra ebbasta.
Mi allontanai in fretta, deciso ad andarmene il prima possibile da quel posto di alienati. Ma in un qualche modo riuscirono a alterare il mio fidato senso dell’orientamento, e mi ritrovai in un labirinto, tra scaffali di un dannato magazzino ricolmi di generi di conforto di ogni tipologia. Iniziai a correre, scansando un gruppo di anziane in gita sociale che mi urlarono qualcosa tipo “non si corre nei corridoi, giovinotto”. Poi, non so più dopo quanto tempo, ripresi il controllo dei miei nervi, e mi resi conto di essere arrivato all’uscita. Mentre con un fazzoletto mi asciugavo un velo di sudore dalla fronte, mi avvicinai alla cassa per comprare le paglie.
- Dammi un pacchetto di paglie, bella.
- Prego?
- Sigarette.
- Che marca?
- Lucky Strike.
- Con filtro o senza?
- Senza.
- Dure o morbide?
- Dure.
- Rosse o bianche?
- Rosse.
- Light o normali?
- Normali.
- Da 10 o da 20?
- Da 20.
- Ecco qua.
- Ah, dimenticavo, mi dai anche una confezione di cerini?
- Normali o antivento?
Resistetti alla tentazione di picchiarla…no, non resistetti. Con un gancio alla mascella la tirai dritta per terra, mi allungai sopra il banco e mi impossessai dei cerini, i primi che trovai, lasciando i soldi accanto alla cassa.
Ero fuori. Una brezza leggera mi soffiava sul viso, come a ricordarmi che c’era ancora molta strada da fare e…maledizione! Non ero andato in bagno!
Mi fermai, indeciso. Di tornare dentro non se ne parlava. Ripartire senza liberarsi però sarebbe stato un problema. Alla fine mi risolsi: mi accesi una paglia e mi avviai verso un muretto del parcheggio, dove porre rimedio ad una impellente necessità.
Ero talmente concentrato sul non far cadere la cenere della paglia in luoghi ameni, che non mi accorsi che qualcuno era arrivato alle mie spalle – ironico, per un lince privato. Però me ne accorsi quando, appena finito, mi voltai e mi trovai davanti uno sbirro che mi guardava torvo.
- Lo sa che codesta l’è un’infrazione piuttosto grave? E’ un pericolo per l’igiene. Mi tocca falle la multa. Favorisca i documenti, per favore.
Maledetti sbirri, non mi avrete, pensai. Venderò cara la mia pelle.
Nella fondina, la berta pesava parecchio.